Stragi e autostragi
Cosa direste se, dopo la strage di Manchester, qualche pezzo grosso dello Stato, della politica, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti britannici si mettesse al lavoro non per scoprire e punire tutti gli esecutori, i complici e i mandanti della mattanza, ma per coprirli facendo sparire le loro carte e quelle degli inquirenti, lasciandoli fuggire pur avendoli sottomano, depistando le indagini con falsi colpevoli, lasciando incustoditi i loro covi a beneficio dei compari, intimidendo o facendo ammazzare i testimoni e magari aprendo una trattativa Stato-Isis per addolcire il trattamento carcerario ai detenuti, smantellare le più importanti leggi antiterrorismo del Paese, screditare, isolare e punire i magistrati che indagano sull’immondo mercimonio? No, perché è esattamente quello che è accaduto in Italia durante e dopo le “auto-stragi” del 1992 a Palermo e del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Eppure i rappresentanti di quello stesso Stato che 25 anni fa negoziò con Cosa Nostra sulla pelle di decine di vittime innocenti continuano a commemorarle con orge di retorica e lacrime di coccodrillo. Il massimo dell’autocritica è la solita, trita polemica sulla mancata nomina di Giovanni Falcone a capo dell’Ufficio istruzione o della Procura nazionale antimafia, o sulla diffidenza che accompagnò la sua opinabilissima scelta di collaborare col governo Andreotti. Sui mandanti o i complici istituzionali e dunque occulti delle stragi, sugli artefici della trattativa Stato-mafia che le moltiplicò e sui depistaggi per coprire le tracce, silenzio di tomba.
Ieri, in un’intervista al Fatto, il Pg di Palermo Roberto Scarpinato ha messo in fila una serie di fatti documentati e inoppugnabili, unendo poi i puntini di un disegno che dà i brividi a chiunque voglia dargli un’o cchiata. Non furono uomini dell’Antistato, ma del cosiddetto Stato, ad avvertire i killer mafiosi dei programmi di Falcone nel terribile weekend dell’Addaura. A rovistare nei file del suo computer al ministero della Giustizia subito dopo la sua morte. A firmare i comunicati della “Falange armata” per rivendicare e depistare ogni attentato. A essere informati in tempo reale della strategia stragista pianificata da alcuni superboss in un casolare di Enna sullo scorcio del 1991, senza far nulla per contrastarla, anzi. A spedire i carabinieri del Ros dal mafioso Vito Ciancimino per avviare una trattativa con Riina e poi con Provenzano piegando lo Stato al ricatto mafioso; a mandare al macello Borsellino, nemico irriducibile di ogni patteggiamento, in via D’Amelio meno di due mesi dopo Capaci.