“Quando Piersanti Mattarella rifiutava i voti di suo padre”
Giovanni Falcone Nel volume che gli ha dedicato il Csm c’è una confidenza del fratello del capo dello Stato poi ucciso dalle cosche
“Ricordo che l’avvocato Sorgi mi disse che, durante un viaggio insieme ad Augusta, Piersanti Mattarella si confidò con lui, dicendo che era felice, perché se prima aveva ereditato il collegio elettorale del padre, e veniva votato esclusivamente a Castellammare, dove non si può dire che siano tutti delle brave persone (in realtà è un luogo ad alta densità mafiosa) alle ultime elezioni veniva votato un po’ovunque per la sua azione moralizzatrice”. Così parlò Giovanni Falcone e quel brano è oggi nel volume in cui il Csm, a 25 anni dalla strage di Capaci, ha raccolto tutti gli atti e i documenti che lo riguardano.
Fin dall’inizio della carriera, nel 1969, quando appena trentenne era giudice civile a Trapani e il presidente Saverio Coniglio scriveva di lui: “Magistrato giovane di anni ma maturo di esperienza, intelligente, colto, preparato, scrupoloso nello studio dei processi, oratore convincente, conoscitore profondo del diritto’’. È il primo di una serie di giudizi di eccellenza, compreso un elogio. Nel volume ci sono i successi e le amarezze, le delusioni e le accuse, rivolte e subìte, ma anche l’i r on i a pungente che non ha mai abbandonato Falcone nei momenti più difficili. Come quando subì, proprio dal Csm, la prima bocciatura, nel gennaio 1988, con la nomina di Antonino Meli a consigliere istruttore.
CON IL SUO ARRIVOall’Ufficio istruzione si instaura immediatamente un “regime di terrore, come ai vecchi tempi’’, scrive il cancelliere dirigente in una nota ai colleghi. E anche per i magistrati, che vedono saltare la precedente organizzazione. Il clima è descritto dallo stesso Falcone nell’audizione del 31 luglio 1988 a Palazzo dei Marescialli: “Giorno dopo giorno c'è un problema… sono tutte vicende innocue, tutte risolvibili, poi però, in concreto, ti accerchiamo e non ti muovi, e come direbbe Frank Coppola, ‘questo è il massimo’”.
Nel marzo 1988 il nuovo consigliere istruttore interroga i magistrati per scoprire la “talpa’’ che passò i verbali ai giornalisti Bolzoni e Lodato, autori dello scoop sulle rivelazioni del pentito Calderone. Falcone nota infastidito: “Sorvolo su certi metodi di gestire l'interrogatorio: a me è stato chiesto se fosse vero che conoscessi Carmine Mancuso, se avessi rapporti di amicizia con lui e se fosse vero che avessi ricevuto informalmente da lui copia dei diari di Insalaco”. Parlando di Meli dice: “Sarà stato in buona o in mala fede, è nel suo carattere, non so se è stato influenzato o se sono gli strascichi della sua nomina a consigliere istruttore’’. In un primo tempo l’anziano magistrato aveva scelto, infatti, di presiedere il Tribunale di Palermo, su suggerimento di qualcuno: “Dubito che qualcuno ci verrà a raccontare – ha detto l’altro ieri a Rai News Alfredo Morvillo, cognato di Falcone – chi è andato a casa del consigliere Meli per convin- cerlo a ritirare la domanda a presidente del Tribunale e a presentare quella a consigliere istruttore per fregare Falcone’’. Che fu bocciato il 18 gennaio ’88, “la notte in cui Falcone cominciò a morire’’, come disse Nino Caponnetto, quando a Palazzo dei Marescialli aleggiava un sentore di “massoneria’’, come rivelò uno dei votanti, Stefano Racheli.
L’amarezza tornerà il 31 luglio successivo, quando lo scontro sfociò nella soluzione “sa lomonica’’ del
Csm. Uno dei c o ns ig l i er i , Vincenzo Geraci, decide, da siciliano, di parlargli a quattr’occhi: “Io sono della provincia, ma li capisco anch'io”, alludendo alle logiche mafiose, “non posso pretendere che li capisca D'Ambrosio, meno che mai Caselli o Pietro Calogero, ma infatti è per questo che parlo a quattr'occhi con te”. Falcone risponde gelido: “Non è un discorso personale”. E sui mandanti delle “infami calunnie e di una campagna denigratoria di inaudita bassezza’’, risponde che la campagna era “sicuramente ispirata da organismi e soggetti della magistratura, certamente non romana e non riferibile al Csm’’.
LE AMAREZZE si trasformeranno tre anni dopo in vere e proprie accuse. La principale, mossa da Leoluca Orlando, è quella di avere nascosto le carte giudiziarie nei cassetti. A partire da quelle sui delitti politici Reina, La Torre e Mattarella. Falcone sceglie l’ironia: “Ci sono magistrati in Italia che si tengono non gli scheletri negli armadi, ma i teschi nei cassetti’’.
L’ultima delusione poco prima della strage, quando il Csm gli preferisce Cordova per la guida della Direzione nazionale antimafia: l’ufficio di direttore degli Affari penali non è “maturato nell’esercizio di procedimento contro la criminalità organizzata’’. Era candidato anche Giovanni Tinebra, del quale non si evince, dagli atti, “una specifica attitudine alle indagini sul fenomeno mafioso’’. Quattro mesi dopo verrà mandato dal Csm a dirigere la Procura.
La carriera
Negli atti desecretati gli elogi e le accuse, le audizioni e gli scontri sulle nomine