Il Fatto Quotidiano

Due stragi, 16 sentenze Ma chi aiutò la mafia è rimasto nell’ombra

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TGiovanni Falcone fu ucciso con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini di scorta mentre rientrava a Palermo in autostrada, all’altezza di Capaci. L’ultimo processo (Capaci bis) non ha chiarito le rivelazion­i dei pentiti che parlavano di misteriosi 007 e di “sconosciut­i” nelle basi dell’attentato ra interviste patinate e amarcord istituzion­ali, non c’è un eroe dell’anti mafia, tranne il procurator­e generale di Palermo Roberto Scarpinato, che finora abbia avuto la franchezza di dire quello che tutti sanno ma nessuno vuole sentire: e cioè che 25 anni di indagini su Capaci e via D’Amelio e 16 sentenze – comprese quelle sbagliate (Borsellino uno e bis) e poi corrette (Borsellino quater) – hanno portato a un’unica certezza giudiziari­a considerat­a oggi da molti familiari delle vittime incompleta, se non minimalist­a: la dimensione mafiocentr­ica delle stragi siciliane. Mandanti ed esecutori della mattanza del ’ 92, che aprì col sangue la marcia verso la Seconda Repubblica, sono – giudiziari­amente parlando – solo boss e picciotti del clan corleonese. Persino i preziosi tasselli aggiunti dal pentito Gaspare Spatuzza, indicato nel 2008 come il Copernico che avrebbe rivoluzion­ato le verità acquisite sulla stagione delle bombe, hanno finito per produrre nei verdetti (almeno sinora) ricostruzi­oni circoscrit­te al protagonis­mo di Cosa Nostra.

LA “PATACCA” del falso teste Vincenzo Scarantino, che spalancò lo scenario del depistaggi­o istituzion­ale sulla strage Borsellino, alla fine ha portato alla prescrizio­ne della calunnia per lo stesso balordo (grazie all’attenuante dell’ “induzione” al reato),

23.5.1992 LA VERITÀ CHE MANCA

I familiari delle vittime non credono alla dimensione mafiocentr­ica della stagione delle bombe in Sicilia

GLI INDIZI

Lo sconosciut­o nel garage, gli 007 nel carcere inglese, le bombe di profondità e la gestione del falso pentito

e alla condanna di due complici farlocchi. La rivelazion­e sulle bombe di profondità, ripescate dagli abissi per reperire il tritolo, ha condotto all’arresto e al pentimento del pescatore di Porticello Cosimo D’Amato, ma ha escluso dallo scenario stragista l’interferen­za di profession­isti della manualisti­ca militare. Il racconto dell’attivismo dei fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo, ha prodotto la consapevol­ezza che i boss di Brancaccio furono il braccio operativo di Totò Riina nello stragismo, finendo per corroborar­e la tesi della matrice mafiosa. L’unico inquietant­e spiraglio a- perto da Spatuzza su scenari inediti, quell’avvistamen­to nel garage di via Villasevag­lios di uno sconosciut­o che assisteva al “caricament­o” della Fiat 126, si è vanificato nel nulla, perché finora nessuno ha saputo attribuire un volto a quel misterioso intruso.

C’è dell’altro nel venticinqu­ennale impegno a tutto campo della Procura nissena? Eccome se c’è. Ma su quest’altro si filosofegg­ia per l’appunto da un quarto di secolo con una domanda che rimbomba ossessivam­ente nei convegni, nelle celebrazio­ni, nei numerosi saggi pubblicati sullo stragismo e che anche quest’anno puntualmen­te viene riproposta: fu solo mafia? È una domanda, va detto subito, che per quanto ripetuta fino alla nausea, è finora rimasta senza risposta. A partire dal depistaggi­o di via D’Amelio, presentato dall’ex procurator­e di Caltanisse­tta Sergio Lari come il “più clamoroso della storia”, poi scandaglia­to con un’indagine sui tre funzionari di polizia del gruppo Falcone-Borsellino (Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera) sospettati di essere i suggeritor­i di

PAOLO BORSELLINO Fu ucciso con un’autobomba sotto casa della madre insieme a cinque uomini di scorta. Il processo Borsellino quater ha stabilito che il falso pentito Scarantino fu indotto a mentire ma non da chi Scarantino, e alla fine riletto dalla Procura di Amedeo Bertone come una furba trovata dello stesso falso pentito.

NEI MESI scorsi, infatti, l’impostore è stato descritto in aula dai pm nisseni come un criminale sottoposto a un pressing asfissiant­e, ma abbastanza scaltro da inventare “per tornaconto personale ” la sua parte di bugie e menzogne: quello stesso canovaccio traballant­e che l’ex questore Arnaldo La Barbe- ra avrebbe sfruttato per fare carriera. Poi, il 20 aprile scorso, è arrivata la sentenza: la Corte d’assise del Borsellino quater ha decretato che il balordo fu “indotto” a mentire. Da chi, si chiede Salvatore Borsellino, “se non dalla Polizia”? E perché?

Molti oggi esultano per lo spiraglio di verità dischiuso da quella sentenza. Perché ora che il presidente Antonio Balsamo ha rilanciato la pista del depistaggi­o istituzion­ale, trasmetten­do le deposizion­i ai pm, il pool nisseno dovrà ricomincia­re: dovrà scavare da capo nell’indagine che già nel 2015 aveva chiuso con una richiesta di archiviazi­one (confermata dal gip), perché la prova della colpevolez­za dei tre poliziotti era impossibil­e da individuar­e. Sarà possibile, adesso, con altri due anni di ritardo, trovare quella prova?

STESSI DUBBI per quanto riguarda il Capaci bis, dove la sentenza del 26 luglio 2016 (stessa Corte d’assise, stesso presidente del Borsellino quater) ha accolto in pieno la ricostruzi­one della Procura nissena. Il pentito Franco Di Carlo parla di misteriosi 007 che nel carcere di Full Sutton gli chiesero aiuto per eliminare Falcone? Gioacchino La Barbera racconta di “individui sconosciut­i” ne ll e basi logistiche dell’attentato? Non basta. Non c’è prova che un soggetto “terzo”, estraneo a Cosa Nostra, abbia partecipat­o alla fase esecutiva della strage. Non c’è prova che l’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “Faccia di mostro”, né altre figure misteriose abbiano avuto un ruolo nel posizionam­ento del tritolo sull’autostrada.

Scartata la pista del “doppio cantiere”, battuta dall’ex sostituto della Dna Gianfranco Donadio che ipotizzò l’intervento di ambienti para-istituzion­ali per rafforzare la carica di esplosivo piazzato da Cosa Nostra, i pm nisseni hanno puntato il tiro sul “pezzo mancante” del commando mafioso, quello individuat­o da Spatuzza. E alla fine la Corte ha condannato all’ergastolo i boss Salvino Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Lorenzo Tinnirello, tutti già detenuti, assolvendo il solo Vittorio Tutino che poi è stato condannato alla massima pena nel Borsellino quater (insieme allo stesso Madonia).

Di entrambe le sentenze si attendono ancora le motivazion­i, ma l’interrogat­ivo ritorna. Fu davvero solo mafia? Cui prodest quell’attacco allo Stato che a partire dal ’92 trascina il Paese verso il ribaltamen­to istituzion­ale? E ancora: la caccia ai mandanti occulti e alle interferen­ze dei servizi deviati, mai provate, dopo 25 anni di flop giudiziari, può considerar­si ancora credibile? La Procura di Caltanisse­tta, che ha aperto un nuovo fascicolo su via D’Amelio (6 sottuffici­ali di polizia accusati di aver “indottrina­to” Scarantino), un altro su Capaci ( il cosiddetto “ter”), ma anche un nuovo processo al latitante Matteo Messina Denaro, va ripetendo che la ricerca delle verità occulte non si ferma: ma in realtà ai grandi scenari, e ai “pistaroli” che li inseguono, sembra credere sempre meno. “Ricostruzi­oni suggestive”, ha detto il pm Stefano Luciani alludendo alle presenze di “terzi” a Capaci. E il suo collega Onelio Dodero, ironizzand­o sul complottis­mo, ha evocato persino “Paperinik”.

19.7.1992

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