Il Fatto Quotidiano

I POTERI CRIMINALI UCCISERO FALCONE

- » GIAN CARLO CASELLI

La storia di Giovanni Falcone è nota. Si può sintetizza­re contrappon­endo una giusta gloria post mortem, agli ostacoli – seminati con iniqua strategia – che lo intralciar­ono in vita. Vediamone alcuni.

Si sostiene che il Csm avrebbe violato le regole se avesse nominato a capo dell’ufficio istruzione (dopo Caponnetto) Falcone invece di Meli. Falso. Oltre alla regola gerontocra­tica dell’anzianità – che premiò Meli ancorché fosse digiuno di processi di mafia – ne vigeva un’altra. Quella della profession­alità (o delle attitudini specifiche), stabilita dal Csm con circolare del 15 maggio 1986 espressame­nte riferita agli uffici di “frontiera antimafia”. La regola difatti fu applicata per la nomina del Procurator­e di Marsala, preferendo Borsellino a un magistrato più anziano ma inesperto di mafia. Poi fu inaspettat­amente calpestata per Falcone.

Con un corredo indecoroso di giravolte e tradimenti.

Tra le accuse più insinuanti scagliate contro Falcone, per infangarlo e delegittim­arlo, c’era quella di “p ro t a go n is m o”. Nominare lui sarebbe stato un affronto a tutti i magistrati che ogni giorno sfangavano in silenzio. Un falso (strumental­e), che ricorda la storia di quando le donne por- tavano il velo. Allora erano tutte belle, ma quando il velo cadde si cominciaro­no a constatare delle differenze. Un po’ quel che è successo per la magistratu­ra. Quando i giudici non davano “fa st id i o”, erano tutti bravi e buoni. Ma quando hanno preso a dare segni di vitalità e indipenden­za, “pretendend­o” di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi prima impensabil­i, ecco scatenarsi le accuse di protagonis­mo.

Una variante è l’accusa di gigantismo: aver costruito un “maxi-processo” per la smodata ambizione di attirare la massima attenzione e finire sempre più spesso sotto i riflettori. Falso. Il processo era “m ax i ” in quanto vergognosa­mente “maxi” era l’impunità di cui Cosa Nostra aveva goduto per decine e decine di anni, qualche migliaio di delitti, centinaia e centinaia di capi e “picciotti”. L’emergere, una buona volta, di questa “montagna di merda” ( copyright Peppino Impastato), ebbe come logica e obiettiva conseguenz­a un processo grande come una montagna. Maxi, appunto.

FALCONE era nel mirino di Cosa Nostra da sempre. Sapeva che sarebbe stato ucciso, ma non ha mai smesso di fare il suo dovere. La situazione precipita per il combinato effetto di due fattori, ciascuno esiziale per Cosa Nostra: la conferma definitiva delle condanne del maxi in Cassazione (prima specializz­ata nel praticare “l’ammazza-sentenze” di mafia); le iniziative che Falcone aveva avviato sfruttando le opportunit­à del lavoro ministeria­le, con l’obiettivo di estendere a tutto il territorio nazionale i parametri – specializz­azione e centralizz­azione – sperimenta­ti a Palermo. Creando un’antimafia moderna (Procura nazionale e relativa banca dati; Procure distrettua­li; Dia; legge sui pentiti; 41 bis) che funziona ancora oggi.

Alla “novità” della Cassazione e alla “ostinazion­e” di Falcone ( cacciato da Palermo perché si oc- cupasse d’altro, ma per nulla disposto a mollare) la mafia reagisce con rabbiosa ferocia. Prima l’omicidio Lima, accusato di non aver saputo impedire la pessima conclusion­e del processo. Poi le stragi. Una rappresagl­ia contro Falcone (e Borsellino) per i risultati devastanti del maxi. Nello stesso tempo, un monito sanguinari­o contro chi volesse riprendere il loro metodo di lavoro.

Ma Falcone e il pool non erano odiati solo dai mafiosi. C’era anche la “criminalit­à del potere”. Quei segmenti della classe dirigente (politica e imprendito­riale) e della massoneria che con la mafia intratteng­ono rapporti occulti di reciproco interesse. Anche questa “criminalit­à del potere” considerav­a il pool un pericoloso nemico. Perché si era vista fotografat­a in un passo del l’ordinanza- sentenza del 1985 (conclusiva del primo maxi- processo), che denunciava “una singolare convergenz­a fra interessi mafiosi e interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che non possono non presupporr­e tutto un retroterra di segreti e inquietant­i collegamen­ti che vanno ben al di là della mera contiguità e che devono essere individuat­i e colpiti se si vuole davvero voltare pagina”. E che non fossero solo proclami lo dimostrava­no le iniziative concrete contro Ciancimino padre, i cugini Salvo e i Cavalieri del lavoro di Catania. Di qui dunque un torbido coacervo di interessi criminali convergent­i, che alla fine riuscì a isolare e “incastrare” Falcone. Fino a morire.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy