Caro Zuckerberg, soltanto tu puoi moderare Facebook
Il “manuale” rivelato dal Guardian è pieno di buchi
Sarebbe anche istruttivo comprendere in base a quali criteri i moderatori vengano selezionati, perché se Facebook è diventato “il mostro cresciuto troppo in fretta” di cui il Guardianparla (e lo è diventato), a fare la guardia al mostro ci vorrebbero le sentinelle più preparate del pianeta, e non un’armata Brancaleone di stagisti sottopagati. L’eventuale catalogazione di quello che scriviamo nelle caselle “bullismo”, “violenza”, “sadismo” non è una scienza esatta. Non è un algoritmo. Gli algoritmi di Facebook sono buoni solo per riconoscere brani musicali utilizzati senza il rispetto delle norme in tema di copyright. Per il resto, affidare a un algoritmo il compito di rimuovere i post che contengano, che so, la parola “frocio” fa sì che, come già accaduto, se su Facebook scrivo “Oggi un troglodita mi ha dato del frocio”, io venga sospeso da Facebook e che il troglodita possa felicemente esclamare “Hanno sospeso l’account al frocio!”.
ORMAI IL MODO per aggirare l’algoritmo è noto: si continua a scrivere “frocio” o“maledetti ebrei, spero che Hitler resusciti domattina!” sostituendo qualche lettera delle parole monitorate con un asterisco: froc*o o Hitl*er. Quindi sì, Facebook ha bisogno di moderatori, non di codici. Ma affidare il giudizio sui contenuti a un moderatore è una faccenda ancora più complessa. Oltre a essere un lavoro enorme, richiede capacità di giudizio, buon senso, intelligenza, cultura e conoscenza della legge. Nel “m anu ale ” scovato dal Guardian, invece, è evidente che Facebook ha fatto entrare Alien nella nave Nostromo e ora non sa come liberarsi di lui, della sua mostruosa capacità di riproduzione, dell’indole distruttiva e ostile, della sua resistenza a qualunque tentativo di arginare la sua pericolosità sociale. Purtroppo, al momento, Zuckerberg non sembra cazzuto neanche la metà di Ripley. Scopriamo, per esempio, che Trump è una categoria protetta. Se scrivi “sparerei a Trump” v i en i bloccato. Se invece scrivi a un adolescente depresso “brutto cesso, fottiti e muori” siamo nel raggio delle gentili opinioni o comunque delle “minacce non credibili”. A meno che l’adolescente depresso sia il figlio di Trump, forse. Ergo, anche Laura Bordini deve rassegnarsi all’idea che chi le scrive “Spero che un migrante ti stupri”, per Facebook, non rappresenti un problema. Tanto non la stuprano mica sul serio’.
I VIDEO di un aborto possono essere postati ma a patto che non ci siano scene di nudo. Un feto morto non è materiale sensibile, una tetta sì. Le scene di autolesionismo sono consentite, quindi ci si potrà ri- prendere mentre si vota Salvini in cabina elettorale. Ci si potrà riprendere senza censure anche mentre ci si punta una pistola alla testa, anzi, Facebook ritiene che questo possa consentire a chi vede di intervenire. Facciamo una diretta Facebook pure se ci mena il marito, così senza neppure dover chiamare la polizia, magari ci viene a salvare qualche utente collegato. Naturalmente tutto questo non vale nei gruppi chiusi perché nei gruppi chiusi gli utenti si aggregano appositamente per condividere contenuti pornografici, razzisti e violenti, per cui nessuno all’esterno può segnalarli a Facebook perché se non sei iscritto non li vedi e nessuno dall’interno li segnala perché se sei iscritto sei lì proprio per vedere quella merda. Insom- ma, non c’è soluzione. L’idea di abolire i gruppi chiusi, per esempio, per Zuckerberg è avanguardia. Eppure sarebbe semplice e sacrosanto.
Queste regolette non tengono conto delle infinite sfumature del linguaggio, dei diversi contesti, dell’insieme. Mille persone che scrivono “muori” a una ragazzina, sono mille segnalazioni diverse che, se considerate singolarmente, non creano allarme. Analizzate nell’insieme e nel contesto sono come minimo bullismo. Nei casi più gravi istigazione al suicidio. “La gente usa un linguaggio violento per esprimere frustrazione online e deve poterlo fare”, dice il manuale di Zuckerberg. Mark ci sta dicendo “Io faccio il possibile, poi se vi volete dare dello stronzo o della puttana e augurarvi reciprocamente di morire, vedetevela da soli, siete adulti!”. Ok. Ci sto. Tu però, mio caro Zuckerberg, mi devi dare gli strumenti per difendermi autonomamente. Per sapere, tanto per cominciare, chi mi sta minacciando, offendendo, ricattando, diffamando. Se mi privi anche di quelli, si rischia un pericoloso avvitamento per cui tu finisci per fare il gioco di chi usa il tuo mostro per aggredire, odiare, vomitare rabbia.
L’UNICO MODO per sconfiggerlo, questo mostro, è associare i profili Facebook a un codice fiscale e una carta di identità, perché oggi, per chi vuole difendersi, agire legalmente contro la foto profilo di Bin Laden è una strada in salita. Zuckerberg lo sa, ma sa anche che se lo facesse perderebbe quel miliardo di utenti fake iscritti a Facebook. Risolverebbe in parte un problema all’umanità ma ne creerebbe uno al suo fatturato. E a oggi, mi spiace dirlo, il buon vecchio Mark non ha né alzato le mani per dire “Ok, ho creato un mostro, è ora di fermarlo!”, né le ha abbassate per tirare fuori il portafogli. E di questo passo, rischia di replicare Alien anche nel finale: prima o poi, dovrà autodistruggere la nave Nostromo.
TROPPO FACILE RESTARE IMPUNITI Algoritmi e uno staff minimo non arginano la violenza social, spetta all’azienda rendere i profili tracciabili