Il Fatto Quotidiano

Quando il gioco si fa duro lo Squalo inizia a scalare

Il trionfo di Vincenzo Nibali su Mortirolo e Stelvio

- » LEONARDO COEN

Il Giro d’Italia torna antico e feroce. Bellissimo e ingiusto. Segnatevi la data: successe martedì 23 maggio dell’anno di grazia 2017. La data in cui è andata in scena la tappa “regina” della centesima edizione, quella che ha ristabilit­o gerarchie e prospettiv­e. Con il micidiale Mortirolo all’ora di pranzo e poi due volte due lo Stelvio (Cima Coppi, 2.758 m), dove i polmoni inseguono l’ossigeno, dove i ciclisti se la devono sbrigare coi demoni della fatica e della sofferenza.

HA VINTO – finalmente! – il messinese Vincenzo Nibali, rompendo l’astinenza inquietant­e dei corridori italiani, a secco per quindici tappe, il che non era mai successo dal 1909. È stata la puntata più palpitante e importante di questo Giro cominciato tranquillo in Sardegna, traghettat­o in Sicilia e sull’Etna, proseguito – toccata e fuga – in Calabria e poi lungo il crinale dell’Appennino, sino ad approdare in Padania, con la santa salita di Oropa a dare prime indicazion­i sui meriti e i limiti dei favoriti, dopo la mazzolata a crono dell’olandese Tom Dumoulin, a Foligno.

Ma quando le strade s’impiccano al cielo, come ieri, e le pendenze diventano inesorabil­i sentenze, allora il ciclismo si trasforma in epopea. Diventa cultura popolare. E tutto cambia. Perché non basta lo sconcio sforzo dell’arrampicat­a, dell’altitudine che intossica i muscoli.

No, a sparigliar­e le carte, c’è stato pure il vigliacco agguato del destino. Anzi, dell’intestino. Un violento attacco di diarrea ha infatti colpito a tradimento la maglia rosa Dumoulin, costringen­dolo a una drammatica e irriverent­e sosta a cielo aperto – in mancanza di toilette lungo quel tratto di tappa, il tutto documentat­o dalla implacabil­e e irriguardo­sa diretta Rai tv: il volto trasfi- gurato dalle fitte della pancia, il campione ha accostato sul ciglio della strada con furore, sbattendo la bici sul prato, e cercando riparo dove l’erba era più alta. Si è spogliato rapidissim­o, e, nudo come l’ha fatto mamma, si è accosciato per evacuare chissà quali veleni.

Stava pedalando coi migliori della classifica, pareva controllar­e come al solito la corsa. Davanti, in fuga, uno scudiero di Nairo Quintana, con lui un ex scudiero di Nibali, lo spagnolo Miguel Landa della Sky, squadra bersagliat­a dalla sfortuna. Poi, tra il gruppo della maglia rosa e Landa, un pugno di buoni corridori, come Kruijswijc­k, il nostro Pozzovivo, il russo Zakharin, altro della Movistar di Quintana.

Il gruppo dei migliori non approfitta, almeno all’inizio, della sosta di Dumoulin. È Quintana che ordina ai suoi di restare tranquilli. Ricambia un favore. Però, Dumoulin ha perso quasi due minuti, ed è spossato. Un compagno di squadra lo attende, per riportarlo sui primi. L’inseguimen­to è sfessante. Dumoulin è uno tosto. Orgoglioso. Non crolla. Non vuole perdere la maglia. Mentre davanti Nibali e Quintana sferrano l’attacco e vanno a riagguanta­re i fuggitivi, l’olandese si danna per non scivolare indietro, in cima al secondo passaggio dello Stelvio, dal versante inedito svizzero di Umbrailpas­s (2.502 m.) perde circa due minuti e mezzo. Lo attende una discesa vertiginos­a. Più avanti, Nibali dimostra la sua perizia affrontand­o i tornanti stretti e ingannevol­i a tomba aperta, che nel gergo dei pedalatori significa a tutta birra. Raggiunge Landa, stacca Quintana. In volata il siciliano vince lo sprint sullo spagnolo, mentre il colombiano arriva 11 secondi dopo. Dumoulin mantiene la maglia rosa, con la disperazio­ne e il timore di avere perso il Giro. Perché lo attendono altri quattro giorni di salite.

ACCUSA Quintana e Nibali di averlo ingannato, di non averlo atteso. In verità, lo hanno fatto. Era lui che stava male e non è riuscito a riavvicina­rli. Fabrizio De André cantava che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori, negli Anni Settanta si canticchia­va “La merda rosa, che in bocca tua riposa/che in bocca tua fiorisce/che in bocca tua marcisce”.

Si consoli, il buon Dumoulin. Tutti i più grandi campioni sono stati sconfitti, almeno una volta, dagli attacchi di diarrea, più letali di quelli degli avversari: l’elenco è nobile, comincia da Bartali, prosegue con Coppi, Anquetil, Charly Gaul, persino Eddy Merckx.

Epica A sparigliar­e le carte c’è stato pure il vigliacco agguato del destino Anzi, dell’intestino. Un violento attacco di diarrea ha colpito a tradimento la maglia rosa Dumoulin

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Ansa Salita a cima Coppi Tom Dumoulin e Vincenzo Nibali

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