Una vita da César Gómez: cinque minuti in campo a perdere il derby
L’1 novembre 1997 il “campione” spagnolo gioca la sua unica partita, Lazio-Roma 3-1. Ora ha una concessionaria
i sono i tifosi di calcio – diceva Agostino Di Bartolomei – e poi ci sono i tifosi della Roma”. Umorali, visionari, infantili, creduloni, romantici, sempre innamorati, con il cuore in gola, esaltati e delusi, felici e tristi nello stesso momento, come nella più classica delle storie d’amore. Hanno imparato a recitare la parte dei grandi, di quelli che ormai non si illudono più perché hanno capito come vanno le cose.
DAVANTI A UN CAFFÈ, imbottigliati nel traffico sul Lungotevere ascoltando la radio, sul divano di casa o sugli spalti, poco prima che cominci la partita o dopo l’ennesima finale persa per paura di vincerla, cercano di essere realisti, si ripetono frasi come “dai, si sapeva, è nel nostro Dna”, ma alla fine quella piccola presa di coscienza dura pochissimo, il tempo di rendersi conto che per un anno che finisce ce n’è un altro che deve ancora iniziare, e sicuramente sarà quello buono per vincere.
In Tutti romani tutti romanisti, il romanzo di César Gómez, scritto da Andrea Cardoni e appena pubblicato da marcos y marcos, si respira la stessa aria elettrica, tropicale, che si respira tutta la settimana a Roma, nell’attesa di quelle due o quattro ore in cui il tempo sembra fermarsi e il mondo è tutto lì, in quel rettangolo verde dove gira il pallone.
Ma chi era César Gómez? Una leggenda, un miraggio, uno scherzo del destino? Stando alla sua pagina di Wikipedia, era un calciatore spagnolo, classe 1967, cresciuto nelle giovanili del Real Madrid, che ha giocato nella Liga, nel Valladolid e nel Tenerife, per poi trasferirsi alla Roma nel 1997, firmando un contratto quadriennale da un milione e mezzo a stagione. Unica partita significativa giocata in Serie A: il derby perso dalla Roma per 3-1 il primo novembre di quell’anno. A Roma un derby perso è per sempre, si sa, proprio come un derby vinto, e basta que- sto perché una comparsa come Gómez diventi leggenda, mito, perché ai fatti realmente accaduti si aggiungano dicerie, battute, sfottò, come che Gómez in realtà fosse il giardiniere di Trigoria, che lo usassero come “omo morto pe batte le punizioni”, che un tifoso un giorno gli avesse detto “A César Gómez, se ciai na penna te faccio l’autografo”, che finito il suo contratto avesse aperto una concessionaria d’auto all’Eur. Favole, miti, sogni al contrario, raccontati così tante volte da confondersi con la realtà e da diventare credibili.
Cardoni parte da questa vicenda grottesca per dar voce a quelli che la Roma l’hanno vissuta da spettatori o da protagonisti, per capire cos’è cambiato nel calcio, come siamo cambiati noi, dagli anni Ottanta e Novanta a oggi, e soprattutto cosa significa veramente essere romani e romanisti. Gómez, in fondo, è solo uno dei tanti che in estate vengono accolti come campioni, per essere poi definiti “pippe” qualche mese dopo. Una sorta di antieroe, anche se non ai livelli di Paolo Negro, che nell’an no dello scudetto della Roma fece perdere un derby alla Lazio facendo un autogol. Ogni derby, come il Tevere, divide la città tra romanisti e “quellilà”, e come Roma, la città eterna, conserva dentro di sé la Storia, tutti i derby giocati in passato.
I RICORDI DOLCI e amari, le esultanze, Totti che segna e si tira su la maglietta e sotto ne ha un’altra con su scritto “Vi ho purgato ancora” o si fa un selfie sotto la curva sud, le coreografie, gli striscioni memorabili: “Se state fermi ve contamo”, “noi di Roma, voi di...ntorni!”. “Noi siamo nati prima”, dicono da sempre i laziali. “Be’, anche la scimmia è nata prima dell’uomo”, rispondono i romanisti. Ma i derby a Roma sono l’unica occasione in cui un tifoso è davvero se stesso, e rappresentano un calcio romantico dov’era ancora possibile sbagliare, un po’ come la vita, dove un giorno vedevi esordire Totti, e un altro ti chiedevi chi fosse mai quello spagnolo che di lì a poco ti avrebbe fatto perdere un derby.