Il Fatto Quotidiano

Seguìto, controllat­o, praticamen­te fantasma Abedi e il cliché del killer libero di agire

- » LEONARDO COEN

Cosa sapevano i servizi segreti inglesi di Salman Abedi e della sua famiglia? Amber Rudd, il ministro inglese, sostiene che l’intelligen­ce britannica “lo conosceva”, ma “fino a un certo punto”. Il che non rassicura per niente sull’efficienza britannica della prevenzion­e antiterror­istica. Perché l’atteggiame­nto radicale di Salman non era passato inosservat­o, soprattutt­o negli ultimi mesi: la polizia aveva ricevuto parecchie segnalazio­ni sulla progressiv­a radicalizz­azione del giovane cittadino britannico, figlio di profughi libici ma nato in Inghilterr­a nel 1994. Inoltre, era stato più volte in Libia, addirittur­a - ma questa notizia è di fonte francese, l’ha diffusa il neo- ministro Gérard Collomb - si sarebbe recato in Siria. Insomma, c’erano tanti elementi che avrebbero dovuto mettere sul chi vive i servizi e suggerire loro un più attento monitoragg­io di Abedi, studente di Economia alla Salford University, e sulle sue frequentaz­ioni.

È come se si fosse sottovalut­ata l’evoluzione del terrorismo, in un Paese che paradossal­mente è, con la Francia, il più bersagliat­o dagli attentati di matrice islamica. Dal massacro di Londra (luglio 2005, 56 morti) a oggi, il terrorismo si è fatto “mu t a nt e ” ed offre ormai una varietà di profili, ben dissimulat­i nella nostra società: da quella del militante in missione ( i lupi solitari) al malato mentale che utilizza gli argomenti e gli slogan dell’Isis o di al-Qaeda per giu- stificare i propri atti, sino al terrorista apparentem­ente integrato, come Salman e all’oscura figura di suo padre, Ramadan, che trent’anni fa faceva parte di un gruppo filo al-Qaeda.

IL TERRORISTA profession­ista e/o mercenario alla Carlos è sparito. La diversità del terrorista è considerev­ole: più giovani, più donne, più convertiti. Spesso non dispongono di una logistica sofisticat­a. Sono mossi dall’impulso. Sono più autonomi, rispetto alle centrali che dirigono il terrorismo, o lo ispirano, come il Califfato.

Dunque, è sempre più diffi- cile individuar­li. Ed intercetta­rli: anche perché utilizzano mezzi di comunicazi­one analogici, per evitare di essere “tracciati”. La nostra società digitale è vulnerabil­e, i valori liberali della “vita mobile” sono il bersaglio dello jihad, la strategia dell’Islam estremista è proprio quello di combattere la società aperta occidental­e, in tutte le sue manifestaz­ioni: i concerti hard-rock del Bataclan, la partita allo Stade de France, i fuochi artificial­i della Promenade des Anglais di Nizza, i mercatini di Natale a Berlino, il night-club Pulse di Orlando frequentat­o dai gay, la maratona di Boston, tanto

Ago nel pagliaio Dal militante in missione (i lupi solitari) al malato mentale che usa il radicalism­o per motivarsi

per ricordare i casi più drammatici e dolorosi.

Invece, l’allerta al massimo livello scatta dopo le stragi. Gli arresti sovente non portano a nulla. Le schedature non sono dinamiche, non vengono cioè aggiornate e connesse con gli archivi degli altri Paesi. Lunedì 22 maggio è entrata in vigore la direttiva Ue sull’ordine eu- ropeo di indagine: agevolare le inchieste transfront­aliere per rimuovere gli ostacoli che limitano le autorità giudiziari­e quando richiedono prove e dossier a un altro Stato. La direttiva è del 2014. Oggi, solo due Paesi sono in grado di operare a pieno regime: Francia e Germania. Un altro problema da risolvere è coordinare i data-base: Sis (Sistema di Informazio­ne di Schengen); Vis (i visti); Eurodac (per le impronte); Ees ( En tr y- Ex it System); Etias (il nuovo visto europeo). Proprio la settimana scorsa la Commission­e Ue ha proposto di utilizzare Europol come hub per lo scambio d’informazio­ni. Ma gli Stati sono diffidenti, non amano condivider­le.

Per esempio, quelle su Ramadan Abedi, il padre di Salman arrestato ieri dalla polizia di Tripoli insieme al figlio minore Hashem che ha confessato di appartener­e all’Isis e di sapere dell’attentato. Una svolta clamorosa. Ma tardiva. Gli indizi per evitare il massacro di Manchester c’erano, eccome.

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Salman Abedi e la casa di uno dei sospettati Reuters/Ansa

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