NON CHIAMATE BRUNO VESPA “GIORNALISTA”, SE NO SI OFFENDE
La lettera inviata da Bruno Vespa ai consiglieri del cda Rai a proposito del suo contratto/compenso è un evidente caso di umorismo involontario: “Riconoscere carattere esclusivamente giornalistico a trasmissioni come Porta a Porta o altre comporterebbe ovviamente la mutazione in giornalistici di tutti i contratti in essere per chi vi collabora”. Può darsi che Vespa abbia formalmente ragione, che come dice lui da anni ha un contratto tipo quello di Carlo Conti, che prevede come prestazione la conduzione di un tot di serate, e via discorrendo. Come è noto il tetto non si applica agli artisti, anche se pende la spada di Damocle di un nuovo tetto di cui dovrebbe occuparsi il consiglio di amministrazione di Viale Mazzini, in questi giorni affaccendato in ben altre faccende, ovvero la sostituzione di Antonio Campo Dall’Orto, ormai con entrambi i piedi fuori da tutte le porte e i portoni Rai. Ci permetta però Vespa di sentirci un po’ presi in giro se vuol sostenere che il contenuto di Porta a Portanon è giornalistico, benché le innumerevoli puntate in cui il secondo segmento della trasmissione si occupa di frizzi e lazzi (Dalla Russia con Al Bano!), facciano propendere per la sua tesi. Controreplichiamo che la puntata sull’attentato di Manchester l’altra sera non l’ha condotta Pippo Baudo, ma Bruno Vespa di persona personalmente. In un libro del 2009 pubblicato da Laterza, Vittorio Roidi fa notare proprio questo: vanno entrambi in onda su Rai1, ma Bruno Vespa e Pippo Baudo fanno mestieri diversi. O almeno teoricamente dovrebbero. Come cantava Franco Califano, “Vivo la vita così alla giornata con quello che dà/ sono un artista e allora mi basta la mia libertà”. Sarebbe facile obiettare anche che l’intervista al figlio di Riina per tanti è stata un brutto spettacolo, ma per molti è stato un gran colpo giornalistico. Il tema da porre sarebbe quali sono le responsabilità aggiuntive di chi fa informazione, oltre che il suo 740.
QUEL CHE STA ACCADENDO in Viale Mazzini però non riguarda solo la posizione del giornalista (speriamo non si offenda se per praticità lo chiamiamo così). Oggi come mai, la Rai è un terreno per scorribande di ogni risma: l’unica cosa che i politici vedono all’orizzonte è la campagna elettorale. E dunque l’importante è che la tv di Stato dia garanzie sufficienti alla politica in vista del voto. Il che fa un po’ ridere se pensiamo che sull’ultimo referendum costituzionale (minutaggi alla mano) è stato dato grandissimo rilievo alle ragioni del Sì e l’esito del voto è stato un sonoro, oceanico, No. Il punto non è ancora questo: gli interventi opachi di auto-sabotaggio (vedi il recente tentativo di inserire nella convenzione Stato-Rai una norma sulla pubblicità che indeboliva molto Rai1) giovano solo ai concorrenti.
E allora o davvero la tv pubblica è oggetto di uno scambio a fini elettorali o la miopia di chi governa va oltre il livello di guardia. Ieri sulla Stampal’ex direttore di Rai1 Giancarlo Leone auspicava un passo in avanti con un “Libro bianco” della Rai con organi statutari diversi assicurando la gestione ordinaria (che è messa a rischio dall’attuale impasse). Poi “nuovi provvedimenti che mettano al riparo l’azienda da ingerenze e ne definiscano la missione di servizio pubblico, il perimetro dell’offerta e ne rafforzino il ruolo di volano dell’industria radiotelevisiva”. Più che bianco, è il libro dei sogni. Conviene a troppi che la Rai sia ridotta a un colabrodo (dove ci sono buchi è facile infilarsi); non si contano i proclami su “fuori i partiti dalla Rai”. Tutti lo dicono, nessuno lo fa. E anche se non fosse così, bisognerebbe che chi governa avesse una visione: è evidente che è chiedere loro davvero troppo. Meglio questo caos, in cui non si capisce nemmeno cosa fa Vespa. Mica per niente Caos in greco vuol dire vuoto.