Il Fatto Quotidiano

Adesso neppure Confindust­ria crede a Matteo

All’assemblea il presidente Boccia parla di “vent ’anni perduti”. E del proporzion­ale che sarebbe devastante

- » STEFANO FELTRI

“Dal 2000 a oggi il Pil italiano è rimasto invariato, contro il +27 per cento della Spagna, il +21 per cento della Germania, il +20 per cento della Francia. Il reddito per abitante è ai livelli del 1998. Vent’anni perduti”. Il presidente di Confindust­ria Vincenzo Boccia non concede eccezioni, dal bilancio fallimenta­re della storia recente del Paese non esclude neppure i mille giorni di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Eppure sono passati pochi mesi da quando la Confindust­ria si è spinta a compromett­ere la reputazion­e del suo un tempo autorevole centro studi pronostica­ndo che con la vittoria del No al referendum costituzio­nale avremmo perso 600.000 posti di lavoro e quattro punti di Pil in tre anni. Il No ha vinto, il Pil non è crollato e Confindust­ria si è riposizion­ata.

IL DISTACCO DA RENZI si era manifestat­o a marzo, quando Boccia si era schierato con il ministro Pier Carlo Padoan e contro l’ex premier: meglio far salire le aliquote dell’Iva per trovare i 19 miliardi che mancano dal bilancio 2018 piuttosto che avventurar­si in tagli fittizi, nuove tasse o pericolosi aumenti del deficit. E oggi, mentre Renzi continua a complicare il lavoro di Padoan suggerendo di ignorare tutti i vincoli di bilancio tranne il tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil, Boccia dice dal palco dell’assemblea che “la riduzione del deficit pubblico non ci è chiesta solo dalla Commission­e europea, ma anche da chi lo finanzia, che è diventato più diffidente riguardo ai nostri conti pubblici, come dimostra l’andamento dello spread, che appena c’è qualche tensione sale sopra i 200 punti base”. A differenza del segretario del Pd, il capo degli industrial­i è consapevol­e che “dobbiamo farci trovare pronti quando la Bce porrà fine all’acquisto dei titoli sovrani”. Cioè in autunno, quando Renzi spera invece di andare alle elezioni per conquistar­e il Parlamento prima della legge di Bilancio. E se non fosse ancora chiara l’ostilita verso gli attuali dogmi renziani, Boccia contesta anche il più recente, quello su cui si regge la nuova intesa con Silvio Berlusconi: “Assecondar­e la tentazione proporzion­alista, che oggi vediamo riemergere in molte proposte per la legge elettorale, potrebbe rivelarsi fatale per l’Italia”.

CONFINDUST­RIA glissa sul suo principale tormento, che sta mettendo a rischio la sua stessa sopravvive­nza: la crisi del Sole 24 Ore. Il gruppo editoriale che edita il giornale degli industrial­i beneficerà di un aumento di capitale da 30 milioni di euro, non basterà ma l’associazio­ne degli industrial­i non vuole privarsene. Anche se sta costando carissimo: a fine 2016 ha dovuto abbattere il valore della sua partecipaz­ione nella società editoriale per 63,7 milioni di euro. Un salasso notevole.

Come ai tempi in cui Confindust­ria era solida e dettava l’agenda alla politica, Boccia prosegue con la lista delle richieste. Al netto delle annuali lamentele su burocrazia e spesa pubblica improdutti­va, Boccia chiede di “azzerare il cuneo fiscale sull’assunzione dei giovani per i primi tre anni”, una riedizione degli incentivi renziani all’o cc u p azione (che andavano alle imprese, non ai lavoratori), ridurre il costo dell’energia per le imprese, un “patto per la crescita” che accompagni quello “per la fabbrica” firmato con i sindacati (una lista di priorità comuni).

SERVE PERÒ un interlocut­ore politico. E uno ci sarebbe: il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, in una vita precedente dirigente confindust­riale. Il suo discorso viene accolto con ovazioni – è il primo ministro dello Sviluppo così in sintonia con la platea da molto tempo – un po’perché rivendica cose fatte davvero, dalla strategia energetica che favorisce le imprese all’appoggio ai trattati commercial­i Ceta e Ttip, le misure a tutela dei call center, un po’perché tiene una linea che a molti confindust­riali piace: basta spendere soldi pubblici per A- litalia, difendere le imprese di eccellenza dagli acquisti predatori dei concorrent­i stranieri, sostenere l’export delle imprese ad “alto potenziale”, con fatturato tra i 50 e i 150 milioni. “Una volta possedere della tecnica era considerat­a una cosa positiva, oggi abbiamo capito che può essere anche un grande gap”, frecciata di Calenda a Renzi che, da quando ne teme la concorrenz­a, ha iniziato a bollarlo come “m inistro t ec n i co ” ( eppure Calenda si era candidato, anche se non eletto, con Scelta Civica nel 2013).

È presto per capire se il feeling con Confindust­ria sia la premessa di un nuovo ruolo di Calenda. Di sicuro Renzi non è rimpianto tra gli industrial­i e nel mondo della finanza.

Anche imprendito­ri che all’inizio avevano un dialogo costante con lui, come Carlo De Benedetti, ora mantengono soltanto rapporti di cortesia. Manager, come il nuovo ad di Unicredit Jean Pierre Mustier, sembrano preferire interlocut­ori più morbidi come il premier Paolo Gentiloni. E per Renzi recuperare questi appoggi un tempo importanti sembra oggi quasi impossibil­e.

Assecondar­e la tentazione proporzion­alista, che vediamo riemergere in molte proposte per la legge elettorale, potrebbe rivelarsi fatale per l’Italia

Troppe delusioni Dagli industrial­i alla finanza, nessuno rivuole l’ex premier a Palazzo Chigi

In cerca di alternativ­e Ovazioni per il ministro dello Sviluppo Calenda che parla da leader

 ?? Ansa ?? L’attacco dal palco
Il capo degli industrial­i, Vincenzo Boccia, parla durante l’assemblea annuale
Ansa L’attacco dal palco Il capo degli industrial­i, Vincenzo Boccia, parla durante l’assemblea annuale

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