“Ci pensi che abbiamo voltato le spalle alla nostra Polonia?”
Pubblichiamo l’anticipazione del nuovo romanzo di Veronica Tomassini, da oggi in libreria.
Ragazzo
mio, ti implorava Crystina, slacciando la cinta dei tuoi pantaloni, sei la mia Polonia. Eppure non c’era autorevolezza neanche nel tedio e nella commozione. Crystina? La chiamasti, mentre lei beveva, all’ombra della magnolia del parco. Crystina, proseguisti, ricordi il ribes?
LA VODKA DI RIBES? Crystina alzò il volto duro. Sì, tak, disse, e abbassò gli occhi. Potresti giurare di aver sentito il suo respiro tradursi in un singhiozzo. Cosa piangi, sciocca, imprecasti. Kurwa Crystina, nie
placz. Non piangere. Crystina asciugava gli occhi con le mani luride, le labbra tumide di vino, bisbigliava qualcosa. Ragazzo mio, diceva Crystina quasi tra sé, tu pensi alla nostra Polonia? Le abbiamo voltato le spalle, oggi siamo niente, oggi rimane solo la pena e la tristezza, come per le sette ragazze di Albatros, e tu sei l’unica cantava Jacek Kaczmarski. Tirava su col naso. Il cartone di vino cadde sui piedi gonfi, era vuoto. Crystina si allungò sul prato. La guardavi, seduto sulla panca. Kurwa, Crystina, urlasti, nie placz, non piangere. Lei cantava invece, per te era un singhiozzo protratto, un rimando spaventoso di tutte le nostalgie, di tutte le morti, le infamie. Jaruzelski cadde, un tronco, sanguinava dal centro della nuca. Non si alzò, non era in grado. I tuoi occhi si chiudevano su Jaruzelski steso come un tronco ai piedi della panchina. E tutto intorno il sole brillava sugli uomini e le cose.
CRYSTINA ANDÒ VIA, in un punto non collocabile di un giorno di un mese di un anno. Era morta. L’infermiera di Ostrowiec. Al parco litigavi come il peggiore degli ubriaconi, blateravi con Wojciech e il solito Jaruzelski. Suoneranno le campane anche per te, berciavi ora all’uno ora all’altro. Ti rividi, andavi veloce, mani in tasca, attraversavi la piazza del Duomo con due polacchi appena arrivati da Strachowice. Attraversaste la piazza del Duomo, tu e i due nuovi polac-
chi. Erano giovanissimi, non erano stati provati col suggello, sorridevano, avevano spalle solide, gambe forti. Ti ricordasti la normalità, per un solo istante. Immaginasti tuo padre, non ricordavi neanche più il suo volto. Lo immaginasti serio, ma senza rabbia. Serio perché triste, alla finestra del falansterio, nel quartiere popolare di Konskie. Lo vedesti fissare giù, verso il cortile scarno, oltre la pineta, dove tu e Mariusz andavate a sbronzarvi. Hai immaginato tuo padre, era serio e prossimo ad una conversione, espulso dal partito; e immaginasti certi sorrisi, mai raccolti. I sorrisi. “Mamma” ti sentisti pronunciare con un fil di voce. Dalla finestra tuo padre vedeva il mondo, finalmente senza rancore. Invocasti la pace della sua anima, tu che avevi smesso di pregare, che non ricordavi la ragione di una preghiera. E allora ti sei accorto che non era tuo padre alla finestra, dietro i vetri; eri tu. Le imposte erano sbarrate, al condominio. Tua madre viveva in un altro quartiere, la casa era stata venduta. Guardasti su al piano, c’era ancora la gabbia dell’usignolo, messa lì da quando da bambino te ne regalarono uno. A tuo padre irritava moltissimo il cinguettio. Pace all’anima sua. Il suo polacco gergale aveva sovente il suono di un insulto. Il tanfo di tabacco e di vodka anticipavano il suo arrivo, il suo passo pesante sul pianerottolo, l’esitazione, il trillo indisponente del campanello. L’usignolo era volato via, tu piangevi per questo. Tuo padre urlò: “Kurwa, nie placz”. Non piangere. Così urlasti a Crystina quel giorno, quel giorno eri tuo padre. Lei, invece, cantava.
Non piangere.
Non piangere Crystina cantava, per te era un singhiozzo protratto, un rimando di tutte le nostalgie