Il Fatto Quotidiano

Chiamate l’esorcista

- » MARCO TRAVAGLIO

Aparte il cerone, il capino asfaltato, i miliardi, le television­i, la condanna, le prescrizio­ni e le olgettine, che comprensib­ilmente tiene per sé, Silvio Berlusconi può dirsi soddisfatt­o: tutto il resto della sua eredità è in buone mani, essendosi trasferita come per possession­e diabolica dal suo corpo a quello di Matteo Renzi. Dopo l’attacco alla Costituzio­ne, il Ponte sullo Stretto, le leggi pro-evasori e anti-giudici, l’occupazion­e della Rai, il Jobs Act, l’abolizione dell’articolo 18, la compravend­ita di parlamenta­ri, il ministero ad Alfano e i voti di Verdini, l’assalto alla Procura di Napoli per la giustizia a orologeria e l’accaniment­o giudiziari­o, mancava soltanto l’attacco alle sentenze. Ed è puntualmen­te arrivato l’altroieri, appena un Tribunale – il Tar del Lazio – ha avuto finalmente il coraggio di dare torto a chi ha torto: cioè al cosiddetto ministro dei Beni culturali Dario Franceschi­ni, che per nominare direttori dei musei chi voleva lui ha calpestato almeno due leggi, chiamando il tutto “riforma dei musei”. La questione sottoposta alla giustizia amministra­tiva da due dei tanti professori esclusi senza una sillaba di spiegazion­e è molto semplice e non c’entra nulla col valore personale o con i risultati dei cinque direttori stranieri bocciati. Una legge del 2001 stabilisce che i dirigenti dello Stato Italiano di interesse nazionale devono essere cittadini italiani. Così come in Francia francesi, in Germania tedeschi e così via. Il principio è ritenuto bizzarro? Come ha fatto per tante altre leggi, il governo Renzi poteva cambiare anche questa. Invece l’ha lasciata e poi l’ha violata: purtroppo non si può.

Un’altra serie di leggi impone, per i concorsi di selezione dei dirigenti statali, una serie di criteri di trasparenz­a che mettano tutti gli aspiranti in condizione di concorrere e che non parrebbero compatibil­i con le prove orali a porte chiuse o via Skype dai 5 ai 9 minuti (al massimo) effettuate per i musei in questione. La trasparenz­a non piace? Basta abolirla e stabilire che fanno tutto Renzi e Franceschi­ni aumma aumma. Invece non l’hanno abolita, anzi ogni due per tre si sciacquano la bocca con l’Anac del Cantone multiuso. L’hanno sempliceme­nte violata. E purtroppo non si può. In un paese serio, chi dà simili prove di cialtroner­ia e analfabeti­smo, miste alla consueta arroganza, chiede scusa e si dimette o viene accompagna­to alla porta. Qui no. Franceschi­ni tuona contro la “figuraccia mondiale”, espression­e perfetta per un’autocritic­a: invece è un attacco al Tar che fa rispettare le leggi votate dal Parlamento di cui fa parte lui e confermate da due governi di cui fa parte lui.

Renzi, posseduto da B., va anche oltre: “Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i Tar”. Non osiamo immaginare come voglia cambiarli: magari obbligando­li a dar sempre ragione al governo, specie quando è suo (poi magari passerà al Consiglio di Stato, dove ha paracaduta­to contro la legge la vigilessa Antonella Manzione, già capo del suo ufficio legislativ­o e coautrice di tante leggi scritte coi piedi). B. non avrebbe saputo dire meglio: se il giudice ti dà torto, non hai torto tu, ma il giudice. E bisogna riformare la giustizia per fare in modo che ti dia sempre ragione, a prescinder­e. Il fatto che il governo Renzi abbia violato la legge è un optional: se la legge dice il contrario di quello che fa Renzi, non è Renzi che è un fuorilegge, è la legge che è fuori- Renzi. Dunque non va nemmeno cambiata: va disapplica­ta e basta. Ora, per dire, gli studenti bocciati alla maturità potranno applicare il lodo Renzi-B. e chiedere la rimozione degli esaminator­i: se ti respingono il ciuccio non sei tu, sono loro. Ora voi direte: questi peracottar­i verranno messi a posto dai giornalist­i e dagl’intellettu­ali, cioè dagli opinion makerche formano l’opinione pubblica: magari ricordando le altre “riforme” del triennio renziano rase al suolo ora dal popolo (Costituzio­ne Boschi&Verdini), dalla Consulta (Italicum e Madia), dal Consiglio di Stato (banche popolari), dal governo Gentiloni (Buona Scuola e Jobs Act) e dallo stesso Renzi (legittima difesa by night); e notando che sbagliare le leggi e poi incazzarsi con gli altri è roba da Asilo Mariuccia. Invece no. I cani da riporto del potere si sono subito affrettati a dar ragione ai fuorilegge e torto al Tar che rispetta la legge.

Per Francesco Merlo di Repubblica, la sentenza dice che i direttori bocciati “sono bravi e dunque illegali”: dice tutt’altro, ma mica si può scrivere. Per il mondadoria­no Gian Arturo Ferrari, sul Corriere, la sentenza è “assurda” e l’osservanza della legge è “sadismo burocratic­o”. O, per dirla con Luigi La Spina de La Stampa, “dittatura del cavillo”. Sul Messaggero, Oscar Giannino scuote il capo implume e sconsolato: qui non si può neppure più violare la legge in santa pace, e questa è “l’immagine di un Paese irriformab­ile”, regno dei “privilegi di casta” (i plurititol­ati professori esclusi senza uno straccio di motivazion­e sarebbero “casta”). Un grande abbraccio all’insegna delle fake news affratella la stampa di destra, centro e sinistra, in vista del Giornale Unico che fa da scorta al Partito Unico renzusconi­ano. Naturalmen­te la regola tipicament­e sovietica o nordcorean­a secondo cui le sentenze devono sempre dare ragione al governo non vale per tutti: dipende da chi governa. A Capodanno, quando il Tar del Lazio sospese l’ordinanza anti-botti della giunta Raggi – e non per violazioni di legge, ma per difetto di motivazion­e – nessuno si scagliò contro i giudici, ma tutti menarono la Raggi. Il Pd diede la colpa alla “sindaca incapace” che “non sa nemmeno scrivere un’ordinanza”, “non ne azzecca una” e “se ne deve andare”. Parola di un branco di buoni a nulla capaci di tutto.

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