Insinna? Macché, è Elia Kazan
La gaffe del presentatore e il film prequel del ‘57
Consapevoli
del fatto che la tv di oggi sia all’80 per cento finzione, quando non un blabla di bugie e omissioni (si vedano i telegiornali reticenti o muti di fronte a scandali politici, bancari ecc., che si succedono senza tregua), pure, nel fondo del cuore, per un residuo di idealismo, siamo portati a considerare con maggior simpatia alcune figure che ci sembrano più cordiali e più aperte alla comprensione del prossimo. Dimenticando una fondamentale antitesi: se, in molti casi, l’arte imita la vita, in altri è la vita a imitare involontariamente l’arte, come credeva la generazione di Henry James, e perciò, occhio: ne dovremmo trarre insegnamento.
Prendiamo il caso Insinna, come riportato da Striscia la notiziacon fuorionda dalla nota trasmissione Affari tuoi, ovvero Il gioco dei pacchi: sembrerebbe (ma non è chiaro) in parte alla presenza del pubblico, in parte no. E con le esternazioni poco simpatiche di Insinna, reiteratamente e noiosamente scatologiche o offensive, veri e propri sfoghi senza censure nei confronti di qualche concorrente e di qualcuno ( non precisato) dello staff che gli sta attorno. Bene, per chi sia un cinefilo e abbia memoria storica occorrerà ricordare un precedente di rilievo, il vecchio film in bianco e nero di Elia Kazan, Un volto nella folla ( 1957). Che, rivisto oggi, sembra per molti versi, nell’aura generale, e nel suo inaspettato, sorprendente finale, la prefigurazione di ciò che è accaduto al presentatore di Affari tuoi.
ECCO: NEL FILM di Kazan (ottimo e per nulla invecchiato, anzi, profetico), il cantante folk Solitario Rhodes, un giovanottone di campagna scovato da una bella e intraprendente giornalista, Marcia Jeffries, in un paesotto dell’Arkansas, profondo sud che più di così non si può, è portato in breve al successo, prima in una radio di Memphis, poi a New York, in televisione, fino a diventare un beniamino delle folle, che conciona e blandisce con tirate e trovate populistiche di facile effetto. È espansivo, molto diretto, cinico sotto il sorriso da amicone di tutti, e si serve largamente dell’ap- plausometro (inventato nel 1956, dunque appena un anno prima), per dar maggior lustro alle sue trasmissioni. Senonché il successo gli dà alla testa: flirta con politici e uomini di potere coltivando sogni di grandezza e deludendo col suo opportunismo la te- nera, innamorata Marcia, cui dà il colpo di grazia sposando una diciassettenne stupidella Miss Arkansas. E fin qui la vicenda di Solitario non si sovrappone a quella di Insinna se non perché entrambe hanno in comune il mondo dello spettacolo e dei mass-media, qualche gigioneria di troppo, un ego sicuramente non gracile e un populismo di fondo delle rispettive trasmissioni.
MA LA SVOLTA im provv isa del film è data dalla decisione di Marcia di non spegnere l’audio sulle immagini di coda alla fine di una trasmissione, quando, gettata la maschera, Solitario, credendo di non essere sentito, rivela il suo reale pensiero. E ce ne è per tutti, sia per i collaboratori che per il pubblico: “Il mio gregge di pecore”.“Sono più cretini di me e io devo pensare per loro”. “Ne ho piene le scatole di voi incompetenti, mammalucchi e leccapiedi”. “Quei deficienti là fuori, io li tengo così”. “Sono un branco di foche ammaestrate”. Quanto basta perché i centralini telefonici siano intasati di telefonate di protesta e perché la sua fortuna crolli. Mentre Marcia ricambia il colpo di grazia rivelandogli di essere stata lei a lasciare inserito l’aud io fuorionda.
Confrontiamo, a questo punto, le esternazioni di Solitario Rhodes con quelle di Insinna. Che, come dai video riportati da Striscia, dà dei “figli di un dio minore” e dei “dementi” ad alcuni concorrenti, della “nana” a un’incolpevole concorrente ( detto per inciso, graziosa), accusata di parlare “con le mani davanti alla bocca” (e allora?). E, in più, con l’aggiunta di un colorito turpiloquio. Che si sia, Insinna, ispirato a Solitario? Una cosa è certa: il match della cattiveria lo vince lui.
Ma non finisce qui. Ora, con un lungo post sul suo profilo Facebook, Insinna dichiara: “Mi spiace e chiedo scusa a tutti, senza se e senza inutili ma”, aggiungendo un monito a “tutta questa por- nografia televisiva con filmatini e vendetta incorporata”. Pornografia? C’è ben altro nel mondo delle tivù, che non è certo il regno delle anime belle. Né le sue esternazioni sono giulebbe. Converrà ricordargli, visto che la pezza ce l’ha voluta mettere, il proverbio: “Xe pèso el tacòn del buso“. E la frase pronunciata alla fine del film di Kazan dal giornalista Mel Miller ( un bravo Walter Matthau): “Ci sarà qualcuno che dimenticherà e qualcuno no”. Auguri.