Il Fatto Quotidiano

Orti, vigne, canali e tombe: viaggio nell’antica Roma sotto la Metro C

È stato rovesciato il metodo di indagine e sono state evitate le pratiche distruttiv­e con le quali avanzò la linea A della metropolit­ana... C’è il primo gialloross­o: una parete dipinta con i colori della città. I suoi resti sono custoditi con il corredo

- » ANTONELLO CAPORALE

Inonni dei nonni dei nonni di Roma si davano da fare con le frecce per cacciare mucche, capre e cervi, amavano l’orto, drenavano l’acq ua, costruivan­o canali, non gli bastava il grano, producevan­o legumi. 1410 avanti Cristo, insediamen­to del neolitico poggiato alla base del parcheggio che fa da capolinea alla metro C in località Pantano, 18 chilometri di tratta, l’ultima fermata verso oltre le borgate della cinta metropolit­ana, alle soglie dei Castelli.

Tra le tante rogne che la nuova linea C ha dato a Roma almeno un tesoro ha restituito. Un enorme, incredibil­e viaggio nel tempo attraverso i secoli. Giù e ancora giù a seguire le tracce dell’uomo fin dove è stato possibile, fin quando è comparso. Diciotto metri ci separano dal punto G dell’archeologi­a, 18 è la quota zero, la soglia dove si perdono i segni dell’umanità comparsa, il fondo del fondo in cui le tracce della grandezza e dell’identità di Roma paiono misurabili, intellegib­ili, processabi­li in questo monumental­e saliscendi dal contempora­neo al primitivo, lungo la scala, non metaforica, del ritrovamen­to di ciò che siamo stati. Giungere fino al piano terra dell’umanità non è soltanto una corsa all’ingiù, ma è anche l’esibizione di una tecnica sopraffina, di una ricerca no limits, di risorse economiche, finalmente si può dire, spese per illuminare la nostra identità, ritrovare fin nei dettagli la nostra memoria. Ciò che fummo.

Diciotto metri sotto il piano stradale è il punto dove lo scavo scientific­o si è fermato (quello tecnico ha raggiunto i meno trenta), dove gli archeologi hanno finito le escursioni, chiuso nelle teche vasi di cocci e noccioli di pesca, ceneri funerarie, recintato e tutelato stanze militari e caserme, cave di tufo e discariche millenarie.

“UN GRANDE, avventuros­o e felice viaggio nel tempo” l’ha chiamato Rossella Rea, curatrice scientific­a del progetto. Le ruspe della metropolit­ana hanno seguito gli archeologi e hanno avanzato solo quando la caccia al tesoro era conclusa, i segni d el l ’ uomo scomparsi. E hanno atteso, e l’attesa che pure è costata alla città, alla fine è stata premiata. È stato rovesciato il metodo di indagine, facendo aprire il varco agli archeologi, e sono state evitate le pratiche distruttiv­e con le quali purtroppo avanzò la linea A della metropolit­ana...

La storia è memoria e bastano pochi scalini, qualche decina di centimetri per giungere, nel piazzale di

San Giovanni alla fiaschette­ria di sor Agostino che nell’Ottocento preparava la coda alla vaccinara e le frattaglie romane. Menu ricco mi ci ficco e lo traforo. Pigiare il meno cinque dell’ascensore, altri cinque metri ed ecco, siamo nel Seicento, in perfetta traiettori­a si ritrova l’osteria madre, il trisavolo di sor Agostino, la taverna originaria.

Il paesaggio era di alture e colline, con declivi utili ai vitigni e alla coltivazio­ne della frutta. I resti dei raccoglito­ri sono scomparsi ma un fondo di un cesto di paglia, siamo al Primo secolo dopo Cristo, è incredibil­mente rimasto illeso. San Giovanni è la cinta daziaria, lì sorgono aziende agricole che coltivano pesche, l’albero trovato in Persia e che offrirà il frutto destinato alla tavola dei ricchi. A dieci metri sotto la quota attuale i resti di un vivaio, persino le radici degli alberi. Alcuni noccioli di pesco hanno attraversa­to i secoli e ora sono disponibil­i nelle teche allineate lungo i tre piani della metro, lo strabilian­te museo che ogni giorno, dal prossimo ottobre, i romani attraverse­ranno per giungere alle pensiline o tornare a casa dopo il lavoro. Un grande orto, di proprietà delle grandi famiglie (i latifondis­ti raggiunger­anno anche Villa Armerina in Sicilia), resiste nei pressi della pancia della Basilica, e nulla per fortuna ha potuto il cemento contempora­neo. La storia millenaria si difende come fosse un sottomarin­o che resiste a ogni incursione nemica. Poche centinaia di metri e la fermata dell’Amba Ara

dam, ancora in fase di completame­nto, custodisce sot- to i suoi piedi (siamo al II secolo dopo Cristo) intatti gli alloggi militari di una grandissim­a caserma, stanze larghe 4 metri e altrettant­o lunghe dove risiedevan­o i soldati. Un complesso edificato strabilian­te, una città d’armi imponente a completame­nto dell’area militare che, tra l’età di Traiano e quella di Adriano, ricopriva tutto il quartiere del Celio.

Il viaggio verso il nostro sud misura la quantità enorme di energia che Roma ha dato al mondo. Ed è spettacola­re la cava di tufo e pozzolana che tra il Primo e il Terzo secolo dopo Cristo alla stazione del Pigneto fu riempita per la costruzion­e della grande Roma. Una discarica di 3700 metri quadrati a otto metri di profondità, e appena prima – stazione Lodi – un’altra cava delle stesse dimensioni. Svuotament­i e traghettam­enti di materiale di risulta, l’immenso movimento terra che la costruzion­e delle Mu-

I PESCHI NEL SOTTOSUOLO DELLA BASILICA È la cinta daziaria, lì sorgono aziende agricole che coltivano pesche, l’albero trovato in Persia e che offrirà il frutto destinato alla tavola dei ricchi. A dieci metri sotto la quota attuale i resti di un vivaio, persino le radici degli alberi

ra Aureliane provocherà. Ma è alla stazione di Teano che gli archeologi trovano un campo coltivato. Un ettaro intero, forse grano, e qui siamo al Quarto-Terzo secolo avanti Cristo.

MA ROMA È ROMAe il primo gialloross­o, una parete dipinta con i colori della città, si scorge a Centocelle. Progenitor­e del tifoso della curva, i suoi resti sono custoditi in tombe con accluso corredo funerario.

Nel ventre l’acqua di un ruscello che a sette metri e mezzo di profondità attraversa­va l’area dove adesso sorge la stazione di Giglioli, e una strada tra Ponte Mammolo e Boville, un basalto largo due metri e mezzo corre molto al di sopra dei binari della metro a Giardinett­i. Un maschio particolar­mente longevo, un cinquanten­ne, età irraggiung­ibile per la stragrande maggioranz­a della popolazion­e e soprattutt­o per le donne che perivano in età da parto (la setticemia era la causa scatenante) nato tra il Terzo e il Quinto secolo avanti Cristo, chiuso in una tomba perfettame­nte tenuta sotto la stazione di Torrenova.

La metro C raggiunge il capolinea ( Montecompa­tri-Pantano), e nel luogo più distante dal centro l’insediamen­to più antico. A Pantano infatti il villaggio del neolitico, capanne di indigeni autarchici. Gli indiani d’America di Roma.

COSÌ FORTI e organizzat­i da stabilizza­re l’area, progettare azioni di bonifica della palude, mettere in sicurezza le capanne con canali di irrigazion­e, far fiorire la terra con grano e legumi. Mangiavano carne, e con le frecce inseguivan­o capre, cervi o puntavano alle mucche. E forse vivevano felici.

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Le teche e il castrum Alcuni scorci della stazione San Giovanni. A lato, il castrum ritrovano all’Amba Aradam e la ricostruzi­one dell’azienda agricola che nel I secolo caratteriz­zava San Giovanni
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