Daesh in fuga, bombe anche su civili
Unica fonte, l’Osservatorio per i diritti umani: uccisi in 100, la metà bambini
Diventa
sempre più difficile, in Siria, specie nella parte orientale del Paese, attribuire la responsabilità dei bombardamenti e dei cosiddetti danni collaterali. Ieri, ad esempio, le agenzie hanno battuto, valutandola come buona, la notizia dell’ennesimo raid aereo della coalizione a guida Stati Uniti finito fuori controllo.
Un bilancio che, se confermato, rappresenterebbe l’e nnesima macchia per Washington: oltre 100 morti di cui quasi la metà bambini o adolescenti sotto i 16 anni. Il bombardamento sarebbe avvenuto a Mayadin, nei pressi di Deir Ezzor, città nel deserto al confine con l’Iraq, sotto il controllo dello Stato Islamico, ma più volte passata di mano tra regime di Assad e Califfato.
A fornire la notizia in anteprima è stato Rami Abdel Rahman attraverso l’Ondus, l’Osserva- torio siriano per i diritti umani, organismo con base a Londra dopo la fuga dalla Siria e di inclinazione antiregime. Gran parte delle vittime sarebbero familiari di jihadisti dell’Isis, classificabili, tuttavia, come civili.
Non sarebbe la prima volta che la coalizione a guida statunitense si imbatte in vicende analoghe. L’ultima lo scorso mese di marzo, un episodio fotocopia, stavolta in Iraq, nella vicina Mosul. Anche in quel casole vittime superarono quota cento e fu lo stesso Pentagono ad ammettere l’addebito.
IN BASE ALL’INCHIESTA d e ll e autorità militari americane, l'attacco era stato condotto contro cecchini dell’Isis che si nascondevano in un edificio e la maggior parte delle vittime erano state provocate dall’esplosione di un deposito di armi dei jihadisti. Circostanze smentite da diversi testimoni. A fine marzo, il bombardamento a guida Usa in una scuola di al-Mansoura aveva provocato 33 morti, senza dimenticare il blitz nei confronti di un convoglio pro-Assad dieci giorni fa. Infine, il controverso attacco con i gas a Khan Sheikhun il 4 aprile scorso che ha fatto 72 morti. Nonostante se ne parli meno rispetto a pochi mesi fa, la situazione nel Paese mediorientale resta intricata. Un tempo c’era Aleppo, l’assedio della parte a est della città. Oggi si naviga a vista. Il regime di Damasco ha conquistato le città principali, l’altro giorno la dichiarazione della presa di Homs. All’appello, dopo Aleppo e Palmira, mancano Idlib, roccaforte degli ex al-Nusra e di altri gruppi di miliziani di ispirazione sunnita, Deir Ezzor appunto, e Raqqa, la roccaforte di Daesh in Siria.
Mentre la città gemella irachena, Mosul, sta cadendo nelle mani dell’esercito iracheno, appoggiato dagli Stati Uniti, a Raqqa e nella parte orientale della Siria le cose stanno diversamente.
Il nemico è comune, il Califfato, ma tra gli altri contendenti non corre certo buon sangue. L’amministrazione Trump continua a fornire supporto alle milizie kurdo-siriane, tra Ypg e il Fronte Democratico Siriano. Senza dimenticare l’ingerenza dello scomodo e potente vicino, la Turchia di Erdogan.
Il Syrian Observatory for Human Rights, fondato nel 2006, è gestito da Rami Abdel Rahman, 46 anni, oppositore del governo di Assad Rahman lavora da casa, una abitazione di Coventry nel Regno Unito