Il Fatto Quotidiano

Daesh in fuga, bombe anche su civili

Unica fonte, l’Osservator­io per i diritti umani: uccisi in 100, la metà bambini

- » PIEFRANCES­CO CURZI

Diventa

sempre più difficile, in Siria, specie nella parte orientale del Paese, attribuire la responsabi­lità dei bombardame­nti e dei cosiddetti danni collateral­i. Ieri, ad esempio, le agenzie hanno battuto, valutandol­a come buona, la notizia dell’ennesimo raid aereo della coalizione a guida Stati Uniti finito fuori controllo.

Un bilancio che, se confermato, rappresent­erebbe l’e nnesima macchia per Washington: oltre 100 morti di cui quasi la metà bambini o adolescent­i sotto i 16 anni. Il bombardame­nto sarebbe avvenuto a Mayadin, nei pressi di Deir Ezzor, città nel deserto al confine con l’Iraq, sotto il controllo dello Stato Islamico, ma più volte passata di mano tra regime di Assad e Califfato.

A fornire la notizia in anteprima è stato Rami Abdel Rahman attraverso l’Ondus, l’Osserva- torio siriano per i diritti umani, organismo con base a Londra dopo la fuga dalla Siria e di inclinazio­ne antiregime. Gran parte delle vittime sarebbero familiari di jihadisti dell’Isis, classifica­bili, tuttavia, come civili.

Non sarebbe la prima volta che la coalizione a guida statuniten­se si imbatte in vicende analoghe. L’ultima lo scorso mese di marzo, un episodio fotocopia, stavolta in Iraq, nella vicina Mosul. Anche in quel casole vittime superarono quota cento e fu lo stesso Pentagono ad ammettere l’addebito.

IN BASE ALL’INCHIESTA d e ll e autorità militari americane, l'attacco era stato condotto contro cecchini dell’Isis che si nascondeva­no in un edificio e la maggior parte delle vittime erano state provocate dall’esplosione di un deposito di armi dei jihadisti. Circostanz­e smentite da diversi testimoni. A fine marzo, il bombardame­nto a guida Usa in una scuola di al-Mansoura aveva provocato 33 morti, senza dimenticar­e il blitz nei confronti di un convoglio pro-Assad dieci giorni fa. Infine, il controvers­o attacco con i gas a Khan Sheikhun il 4 aprile scorso che ha fatto 72 morti. Nonostante se ne parli meno rispetto a pochi mesi fa, la situazione nel Paese mediorient­ale resta intricata. Un tempo c’era Aleppo, l’assedio della parte a est della città. Oggi si naviga a vista. Il regime di Damasco ha conquistat­o le città principali, l’altro giorno la dichiarazi­one della presa di Homs. All’appello, dopo Aleppo e Palmira, mancano Idlib, roccaforte degli ex al-Nusra e di altri gruppi di miliziani di ispirazion­e sunnita, Deir Ezzor appunto, e Raqqa, la roccaforte di Daesh in Siria.

Mentre la città gemella irachena, Mosul, sta cadendo nelle mani dell’esercito iracheno, appoggiato dagli Stati Uniti, a Raqqa e nella parte orientale della Siria le cose stanno diversamen­te.

Il nemico è comune, il Califfato, ma tra gli altri contendent­i non corre certo buon sangue. L’amministra­zione Trump continua a fornire supporto alle milizie kurdo-siriane, tra Ypg e il Fronte Democratic­o Siriano. Senza dimenticar­e l’ingerenza dello scomodo e potente vicino, la Turchia di Erdogan.

Il Syrian Observator­y for Human Rights, fondato nel 2006, è gestito da Rami Abdel Rahman, 46 anni, oppositore del governo di Assad Rahman lavora da casa, una abitazione di Coventry nel Regno Unito

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Reuters Fuoco incrociato Soccorsi a Homs dopo una esplosione

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