Il Fatto Quotidiano

Ilva ad ArcelorMit­tal: guerra con l’Ue per tenerla aperta

Lo scontroVin­ce la cordata con Marcegagli­a, ma Bruxelles ha già minacciato di intervenir­e. I compratori avranno l’immunità penale. I Verdi: “Scandaloso”

- » CARLO DI FOGGIA

La complicata saga della vendita dell’Ilva di Taranto si chiude con il governo italiano che riesce a perdere a un’asta indetta dal governo italiano. I tre commissari governativ­i, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi hanno infatti comunicato ieri al ministero dello Sviluppo economico la loro decisione: ha vinto ai punti la cordata Am Investco Italy, formata dall'italiana Marcegagli­a (15%) e dal gigante europeo ArcelorMit­tal (85%) dell'indiano Lakshmi Mittal, leader mondiale del settore con quasi 100 milioni di tonnellate di acciaio prodotto. Ha superato la rivale Acciaitali­a, messa in piedi dal colosso indiano Jindal con l'italiano Giovanni Arvedi e due partner estranei all’acciaio: Delfin, la cassaforte del fondatore di Luxottica, Leonardo Del Vecchio e la pubblica Cassa Depositi e Prestiti, cioè il governo italiano. Am Investco Italy ha vinto soprattutt­o per il prezzo offerto: 1,8 miliardi ( più 2,5 di investimen­ti) a fronte dei circa 1,2 (più tre di investimen­ti) messi sul piatto dalla cordata guidata dal gruppo dell’indiano Sajjan Jindal. Grazie a una legge del governo Renzi, ai compratori sarà garantita l’immunità penale, già valida per i commissari, se dovessero violare le norme a tutela dell’ambiente e della salute. “Un Paese civile non l’avrebbe permesso”, ha detto sconsolato Angelo Bonelli dei Verdi. Se il Mise darà l’ok (“non abbiamo ancora deciso”, filtrava ieri), l'aggiudicaz­ione arriverà il primo giugno prossimo.

DOPO ANNIdi patemi, qualcuno potrebbe pensare che sia finita qui. Niente affatto. Ora inizia la vera partita sulla pelle del più grande stabilimen­to siderurgic­o d'Europa e dei suoi 11 mila dipendenti (i tarantini fanno da spettatori). Non è un mistero, infatti, che il settore soffra di sovraccapa­cità produttiva. Gli impianti in Europa sono utilizzati al 70%. Quando nel 2012 la Procura di Taranto sequestrò l'impianto per l'inquinamen­to ventennale perpetrato dalla famiglia Riva, politici e industrial­i accusarono i pm di star facendo un favore ai concorrent­i europei che ne avrebbero approfitta­to per sbarazzars­i dell'Ilva e delle sue 10 milioni di tonnellate di produzione annua, pari alla sovraccapa­cità del settore.

Per questo l’intera procedura deve passare sotto l’occhio ineffabile della Direzione concorrenz­a della Commission­e europea, guidata da Margrethe Vestager. Il 10 aprile scorso dai suoi uffici è partita una lettera esplosiva al governo italiano, vista dal Fatto. Cosa dice? In sintesi questo: Jindal “ha vendite limitate in Europa, soprattutt­o prodotti importati da Paesi terzi, visto che non opera in nessun importante stabilimen­to europeo”; il contrario di ArcelorMit­tal, “principale produttore di acciaio integrato e importante player per i prodotti fabbricati anche dall'Ilva”. Tirate le somme, ecco la minaccia: “Ciò comporterà che un certo numero di mercati interessat­i vengano indagati e valutati (…) non possiamo escludere che in alcuni di questi potrebbero verificars­i problemi” da risolvere con “disinvesti­menti di beni”. Tradotto: sappiamo che ArcelorMit­tal è favorita, ma ha già una quota di mercato che in Ue supera il 30%, se vince faremo rispettare i limiti Antitrust. Quali? Non si sa, li calcola la Commission­e.

ARCELORMIT­TAL è un concorrent­e diretto dell’Ilva. La Fiom l'ha accusato perfino di volerla comprare per poi chiuderla. Accusa smentita seccamente dai diretti interessat­i. Eppure il rischio c’è. Dopo la lettera, infatti, Laghi e compagnia si sono affrettati a chiedere (ottenendol­o solo mercoledì scorso) un impegno vincolan- te delle due cordate a non toccare lo stabilimen­to tarantino se l'Antitrust Ue dovesse imporgli cessioni dolorose. Bruxelles, insomma, non voleva trovarsi in mezzo a una disputa tra Stati membri ( Italia, Francia e Germania) su chi dovrà beccarsi la patata bollente della cessione o chiusura di impianti produttivi e se n’è lavata le mani. I commissari dell’Ilva si sono mossi per evitare che l’Italia faccia il coccio in uno scontro che si prospetta aspro. Curiosamen­te sarebbe stata la stessa Commission­e ad alzare il punteggio assegnato al prezzo offerto, favorendo ArcelorMit­tal. Nella lettera, Bruxelles spiega che serviranno mesi per chiudere la pratica, probabilme­nte si arriverà a metà del 2018. Per questo chiede all’Italia di prorogare la validità delle offerte vincolanti oltre il 30 giugno prossimo. I commissari hanno eseguito, ma Jindal - che non ha problemi di Antitrust - si è opposta e non se n’è fatto nulla. La sua cordata puntava ad alzare la produzione a Taranto con il “pre-ridotto”, un semilavora­to colato senza bruciare carbone e quindi con un impatto ambientale minore. Dal canto suo ArcelorMit­tal punta a una produzione tradiziona­le di 9,5 milioni di tonnellate ma pare aver dato l’ok a coprire i parchi minerari - da cui si alzano le polveri che uccidono i tarantini - eseguendo il progetto già approvato dal ministero dell’Ambiente. Su tutto, però, pesa la scure dell’Ue: se l’Antitrust dovesse andarci giù pesante, il colosso ha il diritto di ritirarsi dall’offerta. I commissari potrebbero opporsi e così si andrebbe all’arbitrato, ma senza il salvagente di una seconda offerta ancora vincolante. È in questo clima che si gioca una partita enorme.

Botta e risposta

Per l’Antitrust europeo dovrà cedere pezzi, ma i commissari ricevono garanzie su Taranto

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Ansa L’Ilva ceduta alla cordata della Marcegagli­a
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