Palma senza cardio E l’oro potrebbe restare sulla Senna
Come finisce Cannes 2017? Chi se la mette in bacheca, la Palma d’Oro del 70°? Già sull’oro si potrebbe eccepire: un metallo così nobile poco si confà a una selezione tra le più scarse degli ultimi anni, se non lustri. In Concorso ne deve passare ancora uno, il thriller You Were Never Really Here del la scozzese Lynne Ramsay: storia di un veterano che cerca di salvare una ragazzina dal racket della prostituzione, se ne parla bene, soprattutto del protagonista Joaquin Phoenix, uno tanto bravo e poco premiato. Potrà stravolgere le carte in tavola, surclassare gli altri diciassette titoli?
DIREMMO DI NO, perché fin qua Cannes non ha saputo sfoderare un vincitore d’elezione che la spunti sugli altri, che si avvicini alla cérémonie de clôturedi domenica da dominus, e non da primus inter pares. Il che non vuol dire che poi prenda la Palma, ma che possa fregiarsi del titolo di vincitore morale, vedi Toni Erdmann l’anno scorso (o Elle), questo sì. Oddio, forse uno c’era, ed è italiano: il gioiellino A Ciambra di Jonas Carpignano, che alla Quinzaine des Réalisateurs s’è aggiudicato l’Europa Cinemas Label. Evviva, lo stramerita.
Stavolta per delineare un totoPalma bisogna spaccare le stelle in quattro, soppesando i decimali di gradimento dei critici. Che poi spesso nemmeno sono d’accordo con se stessi, e di certo, paese che vai verdetto che trovi: se gli internazionali – come nelle barzellette: c’era un tedesco, un francese, un italiano – interpellati da Screen optano per Loveless di Andrey Zvyagintsev, i cugini d’Oltralpe richiamati al voto da Le film françaisrispolverano grandeur e sciovinismo, af- fibbiando il numero più alto (cinque) di Palme potenziali a 120 battements par minute del connazionale Robin Campillo. Del regista russo de Il ritorno e Leviathan, Loveless inchioda la Russia al suo presente: tutto è marcio, l’infanzia è negata, l’amore pure, si salva solo la protezione civile. È assai ben girato, massimalista, un po’tagliato con l’accetta nei simbolismi, ma segnala un valore: da Palma? Viceversa, Campillo – al Regard si è fatto applaudire L’atelier del suo maestro Laurent Cantet, che doveva stare in Concorso – torna tra Allegro e Presto all’attivismo anti-Aids di Act U p - Pa r i s , suonando eros e thanatos, lotta e solidarietà: non eccelso e un po’ ideologicamente claustrofobico, ma ben interpretato – Nahuel Pérez Biscayart – e appassionato, tinge la Senna di rosso. E si tingerà d’oro sulla Croisette?
Papabili per un riconoscimento importante anche W on d er s tr u c k di Todd Haynes, The Square di Ruben Ostlund e Goodtime dei fratelli Safdie, viceversa, si segnala Rodindi Jacques Doillon quale punto infimo della selezione.
E gli attori? Sul versante maschile, la gara è ben nutrita: accanto a Phoenix, su cui scommettiamo al buio, Robert Pattinson mariuolo per Good Time e, favorito, Louis Garrel, che per calarsi nei panni di Jean-Luc Godard ne Le redoutables’è pure diradato i capelli. A sparigliare potrebbe essere il biondo Jérémie Renier, che della prova ne L’amant double di François Ozon può già dirsi ampiamente soddisfatto: en- trambi i gemelli che interpreta si portano a letto la più bella del festival, Marine Vacht.
E le donne? Poiché il glamour serve, e perché ha due film in competizione e due fuori, e perché è anche bravina, diciamo Nicole Kidman, che se la cava meglio in The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos, ma dovrebbe avere più chance con The Beguiled di Sofia Coppola.
FIN QUI LE PROBABILITÀ, ma perché non sperare nella tempesta perfetta? Traendo ispirazione dal giurato Paolo Sorrentino, il presidente Pedro Almodóvar potrebbe tradurre in palmares il Jep Gambardella della Grande bellezza: “Io non volevo solo partecipare alle giurie. Volevo avere il potere di farle fallire”. Nel caso, dopo aver mandato a quel paese la par condicio dichiarando preventivamente fuori dai giochi i Netflix OkjaeThe Meyerowitz Stories (ha poi detto di essere stato male interpretato e, caso strano, ora è accreditato di una serie da dirigere proprio per la piattaforma streaming…), può stroncare il festival dando la Palma d’Oro a Michael Haneke. L’assegnerebbe al suo film più brutto, Happy End, e farebbe dell’austro-francese il primo regista a essersi aggiudicato tre Palme. Proprio lui, Almodóvar, che non ne ha mai vinta una. Presa per i fondelli, attestazione massima dell’insensatezza dei verdetti, iconoclastia purissima: allez-y, Pedro Gambardella!
@fpontiggia1
Nei sogni di Gambardella
E se Pedro Almodóvar facesse “fallire la giuria” come dice Jep assegnando il terzo riconoscimento ad Haneke col suo film più brutto?