Fatih Akin e François Ozon fanno harakiri
Turco-tedesco si contenta di poco per la trama, il francese fa piani ginecologici
Sempre più bravi, sempre più scemi. Saremo brutali ma è questa la sensazione di fondo che insinuano molti “autori” in gara quest’anno a Cannes. Sarà un problema generale? È come se molti grandi nomi fossero sempre più brillanti in fatto di immagini ma sempre meno capaci di dare a quelle immagini un minimo di corpo, di riscontro, di rapporto con ciò che pensiamo e sentiamo del mondo anche fuori dalla sala. Come se non prendessero mai sul serio fino in fondo ciò che mettono in scena.
IL DUBBIO – malevolo – è ribadito dai film di François Ozon e Fatih Akin visti in sottofinale. Nel suo Aus dem Nichts/In the Fade il grande regista turco-tedesco torna sull’ondata di attentati neonazi contro turchi e minoranze che tra il 2000 e il 2007 hanno insanguinato la Germania. Nobile causa, oggi messa in ombra da altre emergenze. Mille erano i possibili spunti di racconto. Akin però si contenta del minimo. Mette su una bella famigliola mista, lei tedesca, bionda, sexy, borghese (Diane Kruger), lui turco, simpatico, esuberante, ex-spacciatore (Numan Acar). Poche scene, a partire dalla trascinante apertura con le nozze in carcere, per dire la loro felicità. Poi scoppia una bomba fatta con chiodi, nafta e concime; il capofamiglia, che tornato libero rigava diritto, muore atrocemente con l’adorabile figlioletto; e qui parte una specie di “courtroom drama” che è anche il meglio del film. Liquidati in fretta (perché?) i dissidi con la famiglia turca di lui, la vedova e madre disperata incastra con la sua testimonianza gli attentatori, dà battaglia in aula, sop- porta depistaggi e insinuazioni (la polizia si ostina a seguire la pista islamica o la vendetta fra spacciatori), ma alla fine vede i due neonazi assolti. Così, vendetta tremenda vendetta, completa il samurai che si era tatuata a metà e parte per la Grecia sulle tracce di un brutto ceffo di Alba Dorata che forse nasconde i colpevoli. Non sveleremo l’epilogo, ma le inverosimiglianze e le assurdità, psi- cologiche e fattuali, che si accumulano da qui in poi, demolirebbero film ben più solidi. È la sindrome dell’ultimo rullo, morbo che devasta il cinema d’autore europeo (e non solo). Basterebbe un buon editor o un vero produttore a evitare questi harakiri finali. Invece gli autori sono ormai così liberi e capricciosi da seguire solo il loro piacere, che non sempre è il nostro. Lo ribadiva il dotatissimo Ozon con L’ama nt double, esplosiva quanto vacua variazione sui temi della gemellarità e del piacere femminile. Uno di quei film insieme seducenti e respingenti in cui il prolifico nipotino di Buñuel e Bataille è specializzato. La statuaria Marina Vacth è un’ex fotomodella afflitta da misteriose somatizzazioni che prima cerca conforto da uno psichiatra ( Jérémie Renier), poi se ne innamora e va a vivere con lui. Quindi scopre che l’atletico dottore ha un fra- tello segreto, un gemello addirittura, a sua volta psicanalista anche se di tutt’altra scuola. Dunque pronto a strapazzarla a letto senza tante scuse (altro che Accorsi in Fortunata!), con buona pace della deontologia e anche della solidarietà fraterna. Ma è solo l’inizio.
FRA VICINEinquietanti, mamme misteriose ( la rediviva Jacqueline Bisset) e gatti impagliati, Ozon, che non lesina primissimi piani ginecologici (non è una metafora), ci trascina in una specie di caccia al tesoro (la libido femminile? La psiche dei gemelli?) irta di citazioni e rimandi, da Hitchcock a Cronenberg, che non cancella mai un dubbio di fondo. Imprese simili avevano senso quando si doveva aggirare la censura. Oggi che tutto è permesso (e filmabile) suonano un po’ gratuite e stucchevoli.