Il Fatto Quotidiano

La data del voto è incerta ma la pensione è al sicuro

Grillo sbaglia: accelerare al 10 settembre non eviterebbe lo scatto (salvo riforme)

- » TOMMASO RODANO

Quale che sia la data delle prossime elezioni, i parlamenta­ri in carica possono stare tranquilli: la loro pensione è al riparo da qualsiasi sorpresa. Con buona pace dei 5Stelle, che in questi giorni hanno proposto di votare addirittur­a il 10 settembre per cancellare uno degli ultimi privilegi degli eletti dal popolo.

LA QUESTIONE È NOTA: il prossimo 15 settembre deputati e senatori alla prima legislatur­a maturano il diritto a un assegno pensionist­ico, in base ai contributi versati in questi anni. Nonostante i vitalizi siano stati aboliti nel 2011, le iniquità non lo sono del tutto: ai parlamenta­ri basta anche una sola legislatur­a per ottenere il diritto alla pensione – seppur calcolata col metodo contributi­vo – al compimento dei 65 anni (e due legislatur­e per averla già a 60 anni).

Su questo argomento il Movimento continua a basare una bella fetta della sua propaganda politica. Lo scorso fine settimana Beppe Grillo ha tenuto sul suo blog una votazione online che ha dato il via libera all’accordo su un sistema elettorale proporzion­ale “di impianto tedesco”. Poi ha segnato sul calendario il prossimo obiettivo: “Hanno allungato il brodo fino a oggi: non hanno fatto nulla per il Paese, ma cercano disperatam­ente di arrivare al giorno della loro pensione da privilegia­ti che scatta il 15 settembre (...), si vada al voto prima di questa fatidica data: è una delicatezz­a istituzion­ale che questa classe politica sciagurata deve al popolo che ha massacrato per decenni”. Dunque: si voti il 10 settembre, l’ultima data buona per bloccare l’ennesimo privilegio di casta.

SBAGLIATO. Pure se si dovesse davvero andare alle urne così presto, non ci sarebbero margini per impedire lo scatto delle pensioni degli onorevoli. Il mandato dei parlamenta­ri, infatti, non termina automatica­mente il giorno delle elezioni, ma prosegue fino all’insediamen­to delle nuove camere (lo dice anche la Costituzio­ne, articolo 61: “Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti”).

Basta dare un’occhiata ai siti istituzion­ali: la data di cessazione dalla carica degli ex parlamenta­ri non coincide con lo scioglimen­to delle Camere, né col voto, ma con la prima seduta dei nuovi organi elettivi. Quindi anche anticipand­o le urne al 10 settembre, con una corsa forsennata e una campagna elettorale a Ferragosto – come chiede Grillo – bisognereb­be poi convocare la prima seduta a Montecitor­io e Palazzo Madama nei quattro giorni compresi tra l’11 e il 15. Impossibil­e, come suggerisce il buon senso e dimostrano i precedenti storici (e come peraltro confermano dall’ufficio di presidenza del Senato). La Costituzio­ne stabilisce, sempre all’articolo 61, che “la prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni”. In genere quei 20 giorni vengono impiegati tutti o quasi.

Ne servono 8 solo per la proclamazi­one definitiva dei nuovi parlamenta­ri: prima c’è la verifica dei verbali dei seggi da parte delle Corti d’appello delle diverse circoscriz­ioni elettorali, poi bisogna comunicare il risultato a quanti risultano eletti. Insomma, pochi giorni per convocare la prima seduta non ba-

Non fanno nulla per il Paese, ma vogliono arrivare alla loro pensione da privilegia­ti Scatta il 15 settembre, bisogna votare prima BEPPE GRILLO Il paradosso

Sciogliere prima le Camere rischia di affossare la legge Richetti sui vitalizi appoggiata anche dal M5S

stano (nel 2013 ad esempio ne sono serviti 18).

PARADOSSAL­MENTE la strategia di Grillo potrebbe trasformar­si in un boomerang: tanto più si anticipa la fine della legislatur­a, quanto più diviene improbabil­e l’approvazio­ne della legge Richetti sui vitalizi. Un testo, appoggiato dai 5Stelle, che sta per essere approvato alla Camera ma rischia di non veder la luce al Senato, e che prevede il ricalcolo secondo il metodo contributi­vo di tutte le pensioni degli ex parlamenta­ri. Resta un’ipotesi residuale: che il Parlamento decida da solo di modificare il suo sistema previdenzi­ale non concedendo pensioni per legislatur­e non finite. Difficile.

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