La lettera di Draghi agli indebitati: “Riforme o tra un po’ sono guai”
“C’è crescita, ma è presto per ridurre il Qe”
Francia 0,2-0,3. Secondo i calcoli del Tesoro, lo sconto sul deficit strutturale si traduce in un obiettivo di deficit nominale che passerebbe dall’1,2 all’1,8-2 per cento. Un miracolo contabile che permetterebbe quasi di evitare l’aumento dell’Iva lasciando salire il deficit.
È UNA PARTITA delicata che dovrebbe chiudersi entro luglio. Già in settembre bisogna lavorare all’impianto della legge di Bilancio 2018 da inviare a Bruxelles il 15 ottobre. E a questa lavorerà il governo Gentiloni, a prescindere dai destini della maggioranza parlamentare che lo sostiene. La Commissione poi darà il tempo al nuovo governo di insediarsi prima di esprimere un giudizio definitivo sulle scelte di politica economica.
La grande incertezza è politica. Se nascerà un nuovo esecutivo in tempi rapidi, ci sarà modo per correggere la bozza di legge di Bilancio inviata a Bruxelles il 15 ottobre e approvare il tutto entro il 31 dicembre. In caso di paralisi, senza maggioranze parlamentari chiare, si rischia invece di andare all’esercizio provvisorio, la condizione in cui la Pubblica amministrazione può spendere solo un dodicesimo di quanto aveva nel bilancio precedente ogni mese. C’è poi l’incognita della Bce: Mario Draghi deve ridurre lo stimolo del Quantitative easing, con gli acquisti di 60 miliardi al mese di titoli. Ieri però Draghi ha usato parole che lasciano sperare in un rinvio della stretta, almeno a inizio 2018: “Rimaniamo fermamente convinti che una quantità straordinaria di supporto alla politica mone- taria è ancora necessaria per riassorbire l’attuale livello di risorse non utilizzate e perché l’inflazione rientri e si stabilizzi in modo duraturo intorno al 2% nel medio te rmin e”. È un equilibrio precario: se qualcosa va storto in questa sequenza di eventi, per l’Italia l’autunno sarà molto complicato. ▶ORMAI, OGNI VOLTA
che parla, Mario Draghi lancia un avvertimento all’Italia: tra poco bisognerà chiudere il Quantitative easing e saranno dolori. Ieri lo ha ridetto parlando all’Europarlamento: “È chiaro che mentre l'inflazione converge verso il nostro obiettivo e la convergenza diventa autosufficiente, i Paesi con alto debito e poca crescita affronteranno un conto degli interessi più alto. Servono politiche di bilancio, ma soprattutto per la crescita” (cioè un po’ di flessibilità). Non è, comunque, il momento di chiudere bottega per la Bce: “Stiamo cominciando a vedere i primi segnali di una ripresa dell’inflazione”, ma quella “sottostante è ancora sommessa” come “la crescita degli stipendi”, perciò “è ancora molto, molto presto per cambiare posizione sulla politica monetaria”. La panacea? Le solite “riforme strutturali”, che nel caso dell’Italia significano ulteriore deflazione salariale. E se un Paese non vuole farle? Il governatore ha la soluzione: “Va superata l’idea che le riforme strutturali siano una questione nazionale. Non lo sono più per l’eterogeneità è la fragilità intrinseca dell’unione monetaria”. Quindi bisogna “rafforzare i poteri della Commissione Ue” in modo che possa costringere chi recalcitra, anche “cambiando i Trattati se necessario”.