Dalla A rivelazione di “A Ciambra” alla U come fantasma dell’Urss
AITALIANI PREMIATI AI CORTI “Miglior sceneggiatura” e “miglior recitazione d’insieme” i premi che portano a casa gli italiani 74a dalla Croisette con il corto “Feel like Sharing”. Gia premiati al Festival The 48 Hour Film Project organizzato dal team Le Bestevem con “Il Passaggio” come A Ciambra – Rivelazione del Festival e prova definitiva che il meglio di Cannes stava nelle sezioni parallele. Il film di Jonas Carpignano non era solo il migliore dei sei italiani sulla Croisette (con il bellissimo L’int ru sa di Leonardo Di Costanzo). Era il manifesto di un cinema che si reinventa guardando non alla tecnica, alla manipolazione, insomma allo stupore prodotto dalle immagini, come faceva il 90% dei film in concorso, ma alla profondità della relazione che stabilisce con il proprio soggetto. A Ciambra eL’intrusa esistono solo grazie al lavoro fatto con i non-attori chiamati a interpretare se stessi, e viceversa. Il miglior cinema non imita la realtà: la crea, la rende visibile. Carpignano e Di Costanzo danno cittadinanza, letteralmente, a microcosmi altrimenti esclusi dal nostro sguardo. Di questo dovremmo essere orgogliosi, non di premi e trofei. È questo il cinema che la nuova legge dovrebbe difendere. Bcome
Baumbach. Liquidato come un nipotino di Woody Allen, il Noah Baumbach di The Meyerowitz Stories ci ricorda quante cose si possono fare con un pugno di attori sublimi (Dustin Hoffman, Ben Stiller, Adam Sandler...), un copione perfetto e una regia discreta quanto efficace. Che fruga fra gioie e dolori, segreti e rancori della classica famiglia di artisti e- brei newyorchesi. Facendo allegramente a pezzi la polemica dell’anno, tutta francese, su grandi e piccoli schermi. Non fosse targato Netflix sarebbe stato fra i premiati. Ma alla fine i premi servono a vendere e Netfix non ha questi problemi. È già dappertutto.
Ccome
Campillo. Gran Premio della Giuria, il regista di 120 battements par minute, vero trionfatore del Festival, firmava anche la sceneggiatura di un film non meno bello al Certain regard, L’Atelier , diretto stavolta da Laurent Cantet (il regista de La classe, scritto sempre da Campillo). A unire i due film, una capacità eccezionale di far vivere sullo schermo un gruppo, cellula base di ogni attività politica, con tutte le anime, le divisioni, le lotte intestine che ogni gruppo si porta dentro. Che evochi le lotte degli attivisti anti-Aids anni 90 di Act Up, con il loro mix di disperazione e allegria, rabbia e fantasia, o dia voce e volto alle inquietudini più inconfessabili dei giovani francesi di oggi ( L’a te l i er ), Campillo, come Carpignano e Di Costanzo, sa mettersi in ascolto e nutrire i suoi film con le energie del mondo reale. A differenza dei suoi rivali, che infatti scivolano addosso come acqua.
Jcome
Jean-Luc. Nel senso di Godard naturalmente. Non pervenuto. Le redoutable prometteva di rievocare il regista torturato e arrogante del’67-68, “les années Mao”. Invece Hazanavicius, regista esperto in pastiche e parodie, si limita ad abbozzare la caricatura odiosetta di un cretino che sbaglia sempre tutto, nella vita e nel cinema, senza resituirci un secondo la grandezza del personaggio ( e delle sue sconfitte). Si salva solo l’eroico Louis Garrel, il resto suona ovvio, fasullo e inutile, anche se (forse) è tutto vero. Misteriosamente graziato dalla critica francese. Come se in Italia un comico girasse uno pseudo biopic di Rossellini mostrando solo i suoi tratti più discutibili. Ocome
Ostlund. Noto finora solo per il notevole Forza magigore, il regista svedese è piombato in un concorso sottotono come la valanga del suo film precedente. Palma d’oro e palla al centro. Bene, perché scopriremo un vero autore che coglie con sarcasmo crudele le ipocrisie, le meschinità e le autentiche violenze nascoste dietro la dittatura del po- liticamente corretto. Male, perché The Square, troppo lungo, è arrivato al Festival in versione palesemente non finita. Ma ora che ha vinto la palma il regista ci rimetterà davvero mano?
Pcome
preservativo. Al centro della scena più divertente del festival, sempre in The Square. Come tutto ciò che unisce e insieme separa, anche un profilattico può essere una cosa completamente diversa se visto con occhi maschili o femminili. Curiosità statistica o segno dei tempi, dopo l’esilarante Toni Erdmann della tedesca Maren Ade (quest’anno in giuria), The Square conferma che ormai lo humour viene dal Nord.
Scome
scimpanzè. Ancora The Square. Si sa che al cinema la Grande Scimmia è sempre metafora di verità nascosta. Nel film dello svedese di scimmioni ce ne so- no addirittura due. Uno vero, la cui presenza resta senza spiegazione, come una comica minaccia. Uno finto, interpretato da un attore specializzato, che semina il panico in una cena di beneficenza. Peccato non sia previsto un premio per il miglior interprete non protagonista.
Tcome
terrorismo. Il fantasma degli attentati non aleggiava solo sui festivaliers costretti a controlli continui. Era anche presente in lavori molto diversi per linguaggio e valore. Il più posticcio era quello dell’ungherese Jupiter’s Moon, contraltare del migrante capace di volare come un angelo. Il più circostanziato quello, oggi dimenticato, degli attentati neonazisti ai danni dei turchi evocati da Fatih Akin in Aus dem Nichts (con imperdonabile autogol finale: perfetto esempio di film capace di emozionare ma non di far pensare). Decisamente più vero, e inquietante, l’eco degli attentati che percorre in filigrana L’atelier di Cantet condizionando ogni gesto e pensiero dei protagonisti. Ucome
Urss – altro fantasma molto presente al Festival, ma forse troppo pesante per una Cannes sempre più innamorata del tappeto rosso e lontana dal cinema che rischia. Residui d e ll ’ era sovietica si affacciavano continuamente nel bellissim Loveless di Zvyagintsev. Ma è La mite dell’ucraino Loznitsa, una romanzesca discesa agli inferi interpretata da veri galeotti e da vere guardie carcerarie, a spingere più a fondo questo scavo nella memoria e insieme nel presente. Ignorato dalla giuria. Forse non a caso.
M COME MANIFESTO DELLA PROFONDITÀ Il film di Jonas Carpignano non è solo il migliore dei sei nostrani sulla Croisette, ma il simbolo del rinnovamento
T COME TERRORISMO OVUNQUE
La paura degli attentati non aleggiava solo sui festivaliers costretti a controlli continui, ma era anche sullo schermo