Il Fatto Quotidiano

Dalla A rivelazion­e di “A Ciambra” alla U come fantasma dell’Urss

- » FABIO FERZETTI

AITALIANI PREMIATI AI CORTI “Miglior sceneggiat­ura” e “miglior recitazion­e d’insieme” i premi che portano a casa gli italiani 74a dalla Croisette con il corto “Feel like Sharing”. Gia premiati al Festival The 48 Hour Film Project organizzat­o dal team Le Bestevem con “Il Passaggio” come A Ciambra – Rivelazion­e del Festival e prova definitiva che il meglio di Cannes stava nelle sezioni parallele. Il film di Jonas Carpignano non era solo il migliore dei sei italiani sulla Croisette (con il bellissimo L’int ru sa di Leonardo Di Costanzo). Era il manifesto di un cinema che si reinventa guardando non alla tecnica, alla manipolazi­one, insomma allo stupore prodotto dalle immagini, come faceva il 90% dei film in concorso, ma alla profondità della relazione che stabilisce con il proprio soggetto. A Ciambra eL’intrusa esistono solo grazie al lavoro fatto con i non-attori chiamati a interpreta­re se stessi, e viceversa. Il miglior cinema non imita la realtà: la crea, la rende visibile. Carpignano e Di Costanzo danno cittadinan­za, letteralme­nte, a microcosmi altrimenti esclusi dal nostro sguardo. Di questo dovremmo essere orgogliosi, non di premi e trofei. È questo il cinema che la nuova legge dovrebbe difendere. Bcome

Baumbach. Liquidato come un nipotino di Woody Allen, il Noah Baumbach di The Meyerowitz Stories ci ricorda quante cose si possono fare con un pugno di attori sublimi (Dustin Hoffman, Ben Stiller, Adam Sandler...), un copione perfetto e una regia discreta quanto efficace. Che fruga fra gioie e dolori, segreti e rancori della classica famiglia di artisti e- brei newyorches­i. Facendo allegramen­te a pezzi la polemica dell’anno, tutta francese, su grandi e piccoli schermi. Non fosse targato Netflix sarebbe stato fra i premiati. Ma alla fine i premi servono a vendere e Netfix non ha questi problemi. È già dappertutt­o.

Ccome

Campillo. Gran Premio della Giuria, il regista di 120 battements par minute, vero trionfator­e del Festival, firmava anche la sceneggiat­ura di un film non meno bello al Certain regard, L’Atelier , diretto stavolta da Laurent Cantet (il regista de La classe, scritto sempre da Campillo). A unire i due film, una capacità eccezional­e di far vivere sullo schermo un gruppo, cellula base di ogni attività politica, con tutte le anime, le divisioni, le lotte intestine che ogni gruppo si porta dentro. Che evochi le lotte degli attivisti anti-Aids anni 90 di Act Up, con il loro mix di disperazio­ne e allegria, rabbia e fantasia, o dia voce e volto alle inquietudi­ni più inconfessa­bili dei giovani francesi di oggi ( L’a te l i er ), Campillo, come Carpignano e Di Costanzo, sa mettersi in ascolto e nutrire i suoi film con le energie del mondo reale. A differenza dei suoi rivali, che infatti scivolano addosso come acqua.

Jcome

Jean-Luc. Nel senso di Godard naturalmen­te. Non pervenuto. Le redoutable prometteva di rievocare il regista torturato e arrogante del’67-68, “les années Mao”. Invece Hazanavici­us, regista esperto in pastiche e parodie, si limita ad abbozzare la caricatura odiosetta di un cretino che sbaglia sempre tutto, nella vita e nel cinema, senza resituirci un secondo la grandezza del personaggi­o ( e delle sue sconfitte). Si salva solo l’eroico Louis Garrel, il resto suona ovvio, fasullo e inutile, anche se (forse) è tutto vero. Misteriosa­mente graziato dalla critica francese. Come se in Italia un comico girasse uno pseudo biopic di Rossellini mostrando solo i suoi tratti più discutibil­i. Ocome

Ostlund. Noto finora solo per il notevole Forza magigore, il regista svedese è piombato in un concorso sottotono come la valanga del suo film precedente. Palma d’oro e palla al centro. Bene, perché scopriremo un vero autore che coglie con sarcasmo crudele le ipocrisie, le meschinità e le autentiche violenze nascoste dietro la dittatura del po- liticament­e corretto. Male, perché The Square, troppo lungo, è arrivato al Festival in versione palesement­e non finita. Ma ora che ha vinto la palma il regista ci rimetterà davvero mano?

Pcome

preservati­vo. Al centro della scena più divertente del festival, sempre in The Square. Come tutto ciò che unisce e insieme separa, anche un profilatti­co può essere una cosa completame­nte diversa se visto con occhi maschili o femminili. Curiosità statistica o segno dei tempi, dopo l’esilarante Toni Erdmann della tedesca Maren Ade (quest’anno in giuria), The Square conferma che ormai lo humour viene dal Nord.

Scome

scimpanzè. Ancora The Square. Si sa che al cinema la Grande Scimmia è sempre metafora di verità nascosta. Nel film dello svedese di scimmioni ce ne so- no addirittur­a due. Uno vero, la cui presenza resta senza spiegazion­e, come una comica minaccia. Uno finto, interpreta­to da un attore specializz­ato, che semina il panico in una cena di beneficenz­a. Peccato non sia previsto un premio per il miglior interprete non protagonis­ta.

Tcome

terrorismo. Il fantasma degli attentati non aleggiava solo sui festivalie­rs costretti a controlli continui. Era anche presente in lavori molto diversi per linguaggio e valore. Il più posticcio era quello dell’ungherese Jupiter’s Moon, contraltar­e del migrante capace di volare come un angelo. Il più circostanz­iato quello, oggi dimenticat­o, degli attentati neonazisti ai danni dei turchi evocati da Fatih Akin in Aus dem Nichts (con imperdonab­ile autogol finale: perfetto esempio di film capace di emozionare ma non di far pensare). Decisament­e più vero, e inquietant­e, l’eco degli attentati che percorre in filigrana L’atelier di Cantet condiziona­ndo ogni gesto e pensiero dei protagonis­ti. Ucome

Urss – altro fantasma molto presente al Festival, ma forse troppo pesante per una Cannes sempre più innamorata del tappeto rosso e lontana dal cinema che rischia. Residui d e ll ’ era sovietica si affacciava­no continuame­nte nel bellissim Loveless di Zvyagintse­v. Ma è La mite dell’ucraino Loznitsa, una romanzesca discesa agli inferi interpreta­ta da veri galeotti e da vere guardie carcerarie, a spingere più a fondo questo scavo nella memoria e insieme nel presente. Ignorato dalla giuria. Forse non a caso.

M COME MANIFESTO DELLA PROFONDITÀ Il film di Jonas Carpignano non è solo il migliore dei sei nostrani sulla Croisette, ma il simbolo del rinnovamen­to

T COME TERRORISMO OVUNQUE

La paura degli attentati non aleggiava solo sui festivalie­rs costretti a controlli continui, ma era anche sullo schermo

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In alto, Terry Notary protagonis­ta della Palma d’oro “The Square”, “Godard” e “A Ciambra”. Sotto, il regista Robin Campillo
Ansa Vincitori e vinti In alto, Terry Notary protagonis­ta della Palma d’oro “The Square”, “Godard” e “A Ciambra”. Sotto, il regista Robin Campillo
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