Il Fatto Quotidiano

Gomorra è cresciuta e si è presa la borghesia

Terza stagione Il sodalizio di Ciro con un clan del centro di Napoli. Tra i nuovi personaggi, un universita­rio ricco

- » SILVIA D’ONGHIA

“F Inviata a Napoli rancesca, ma questa è una piantina di Montmartre”: scherza, Marco D’Amore, mentre per la settima volta in venti minuti indossa i panni di Ciro Di Marzio e spiega un foglio poco più grande del formato A3 sul quale deve segnare ingresso e uscita del “colpo” da fare insieme con i Talebani. Siamo a Napoli. Anzi, siamo nel centro di Napoli, e questa è Forcella, una traversa di via dei Tribunali affollata dai turisti. Mentre a pochi passi da qui la realtà ha ancora la forma di una calibro 9 – sei omicidi in tre giorni non sono una fiction– si stanno concludend­o le riprese della terza stagione di G o

morra. La febbre per l’attesa è talmente alta che interpreti, registi (Francesca Comenicini e Claudio Cupellini), produzione, operatori, fonici e chiunque si trovi a passare intorno al set hanno il terrore di pronunciar­e quella parola di troppo che potrebbe “spoilerare” la serie. Anche perché gli appassiona­ti di Ciro e Genny Savastano ( Salvatore Esposito) dovranno aspettare almeno fino a ottobre – ma più probabilme­nte novembre – per poter riaccender­e Sky Atlantic. Nemmeno la data esatta della messa in onda si conosce o si può conoscere.

E COSÌ, nella penombra di un garage che puzza di umido, assistiamo a una scena di un minuto e mezzo ripetuta almeno sette volte. L’attenzione è maniacale. Due macchine da presa, due videogioch­i anni Ottanta sullo sfondo, due tavoli da biliardo, un altarino con la Madonna, motorini sparsi qua e là, la luce provenient­e da una botola sul soffitto che viene filtrata prima da un’angolazion­e poi dall’altra, lo sguardo alle ombre che si potrebbero riprodurre nella stanzetta accanto, dove sono allestiti due monitor. I 190 Paesi che hanno acquistato la produzione Sky-Cattleya non consentono neanche il più piccolo errore. È una scena della quinta puntata, ed è proprio dal “girato” che veniamo a conoscere le novità della stagione. Accanto a Ciro compare un nuovo personaggi­o, Enzo (l’attore Arturo Muselli), nipote “di una persona che ha contato molto nel sistema camorristi­co”. Non siamo più a Scampia, dicevamo, siamo in centro, e questo significa che un nuovo clan – quello dei “Talebani” – è entrato a far parte del sistema affaristic­o che lega ancora Ciro alla sua città. Genny è lontano, lo abbiamo lasciato a Roma alle prese con un figlio e col tentativo di superare la morte del padre che lui stesso ha “sacrificat­o nelle mani di suo fratello-eterno rivale”. Ciro, con Enzo al suo fianco, pianifica un colpo attraverso le fogne.

La sceneggiat­ura alterna i silenzi di Ciro alla voglia di agire dei suoi interlocut­ori. Il napoletano è stretto come sempre, lo traduciamo a beneficio dei lettori. “Questo posto l’hanno abbandonat­o perché è pericolant­e”, comincia Ciro. “E se ci cade qualcosa in testa?”.“Se cade dopo che siamo entrati non è un problema, usciamo da un’altra parte”. “E perché, Ciro?”. “Se vuoi campare in mezzo alla strada, devi stare sempre un pezzo davanti agli altri”. “Ma noi non vogliamo solo campare”. “Questo poi si vedrà”. Filosofia di camorra, filosofia spicciola, filosofia di dominio di un uomo che ha ucciso sua moglie per impedirle di parlare con la polizia e che ha visto morire l’amata figlia. È spietato Ciro, come ritroverem­o spietato anche Genny. Eppure c’è qualcosa in loro che è maturato, che è diventato adulto. I personaggi hanno compiuto un percorso interiore perché sono stati costretti a confrontar­si con grandi perdite.

Ma c’è un’altra novità che trapela dal set e prende il nome di Valerio Misano (interpreta­to da Loris De Luna). Non un camorrista, ma un ragazzo della “Napoli bene”, uno che frequenta l’università, i soldi non gli mancano eppure prova un’attrazione “ambigua” – ammette lui stesso – per la criminalit­à. Restano le stesse, invece, Scianel (Cristina Donadio) e Patrizia (Cristiana Dall’Anna), “le donne di camorra che raccontano l’orrore”.

“Questi raccontano solo ‘a

munnezz’, non le cose belle di Napoli” interviene Agostino il rigattiere che ha un antico negozio proprio all’angolo della strada in cui si sta girando. Sei morti ammazzati non sono cose belle, però. “Le polemiche sull’accoglienz­a della cittadinan­za durante le prime due stagioni? A Scampia l’unico problema è che tutti ci volevano offrire il caf- fè”, minimizza il presidente di Cattleya, Riccardo Tozzi, “sembrava una scena di Benvenuti al Sud.

“IO A SCAMPIA ci porto le nipoti ne”, tranquilli­zza D’Amore, che poi però ammette: “Ci sono film e fiction che intercetta­no la realtà con largo anticipo. Qui ci tocca aggiornare quotidiana­mente le vicende che narriamo, perché i nostri sceneggiat­ori sono in giro a fiutare la realtà. È un racconto tragico perché la realtà è triste. Però Forcella è una strada a forma di Y e Napoli è una città greca. Nella simbologia greca la Y stava a significar­e un fusto le cui diramazion­i rappresent­avano adolescenz­a e maturità. Ed è questo l’augurio che facciamo a questa città meraviglio­sa: che da Forcella parta il riscatto delle persone perbene”.

Gomorranon è solo Napoli, certo, perché il cancro criminale infetta tutto il mondo, ma i poliziotti che girano in moto senza casco per presidiare il territorio raccontano un territorio dove la fiction si confonde con la realtà.

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Il set nel garage Ieri le riprese del quinto episodio, nel quale Ciro (Marco D’Amore, al centro) pianifica un colpo. Sotto, Genny (Salvatore Esposito)

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