Il Fatto Quotidiano

Perché vincere non è l’unica cosa che conta

- » PAOLO ZILIANI

1527 tifosi feriti nella calca di Piazza San Carlo a Torino e la memoria torna drammatica­mente all’Heysel, 29 maggio 1985, 39 morti a bordo campo e la Juve che gioca, vince e festeggia la sua prima Coppa dei Campioni.

“Io però so che quella coppa non l’ho mai vinta”, ha ricordato in questi giorni Marco Tardelli, parole che rendono improrogab­ile l’appello da rivolgere al presidente Andrea Agnelli: seppellire per sempre lo slogan “Vincere è l’unica cosa che conta”. Uno slogan barbaro che infanga, oltretutto, la storia stessa della Juventus: che come nessun club in Europa ha perso praticamen­te tutte le partite che contavano, l’ultima (malissimam­ente) sabato notte. Sarebbe ora di smetterla, caro presidente. Per il bene della Juve, prima di tutto.

Se fosse vero che vincere è l’unica cosa che conta, dovremmo considerar­e scamorze Zoff e Altafini, Capello e Anastasi, Furino e Salvadore che a Belgrado, il 30 maggio 1973, si opposero invano allo strapotere dell’Ajax di Cruijff. Ed è vero che il Milan quattro anni prima aveva travolto l’Ajax a Madrid (4-1): ma Cruijff era un astro nascente e Rivera e Prati lo avevano incrociato nel posto giusto al momento giusto, cosa che non capitò al Panathinai­kos (1971, 0-2), all’Inter (1972, 0-2) e alla Juventus (1973, 0-1). Se così fosse, bisognereb­be sospettare che i campioni del mondo Gentile e Cabrini, Zoff e Scirea, Tardelli e Paolo Rossi non siano stati poi quei campioni che tutti pensiamo se è vero che il 25 maggio 1983, ad Atene, si fecero infinocchi­are dall’Amburgo (sic). Un gol di Magath bastò ad Happel per sparigliar­e le carte (1-0) e mandare il Trap in tilt. E Rossi capocannon­iere con 6 gol e Platini vice con 5 non servirono a nulla.

SE FOSSE VERO che vincere è l’unica cosa che conta, dovrebbero andare a nasconders­i Deschamps e Zidane, Peruzzi e Bobo Vieri, Boksic e Ferrara che il 28 maggio 1997, a Monaco, in una finale che non avrebbe dovuto avere storia si squagliaro­no (1-3) contro il Dortmund dei rifiuti della serie A (ex Juve in primis): Kohler e Reuter, Moeller e Paulo Sousa, Sammer e Riedle. Hitzfield si prese gioco di Lippi, che tolse Porrini e mise Del Piero, poi tolse Boksic e mise, ehm, Tacchinard­i. Se così fosse, Lippi avrebbe dovuto ritirarsi a vita priva- ta, l’anno dopo, quando il 20 maggio 1998 ad Amsterdam la Juve di Del Piero (capocannon­iere con 10 reti), Inzaghi e Zidane si fece ipnotizzar­e dal (poco) leggendari­o Real Madrid di Raul, Morientes e Mijatovic tornando a casa piagnucola­nte per il sospetto di un fuorigioco di Mijatovic nell’azione del gol.

Se fosse vero che vincere è l’unica cosa che conta, Lippi avrebbe dovuto gettarsi dalla Town Hall di Manchester quando il 28 maggio 2003, all’Old Trafford, vide Dida parare non uno, non due, bensì tre rigori a Trezeguet, Zalayeta e Montero nella finale contro il Milan (e con lui avrebbero dovuto lanciarsi anche Moggi e Giraudo, i boss che due anni prima si erano sbarazzati di Ancelotti considerat­o un allenatore perdente). Se così fosse, non avremmo dovuto vedere Allegri in panchina, sabato a Cardiff, dopo che il 6 giugno 2015, a Berlino, la sua Juve era colata a picco (1-3) nella finale contro il Barcellona di Luis Enrique, non proprio paragonabi­le al favoloso Barça di Pep Guardiola.

Questo slogan, “vincere è l’unica cosa che conta”, in bocca al club famoso per non vincere mai l’unica coppa che conta, ha fatto il suo tempo. Se Agnelli è d’accordo, che sia dimenticat­o. I bambini ringrazier­anno. Gli educatori pure. E anche il ricordo delle tragedie, compiute o solo sfiorate, sarà per tutti meno pesante.

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Andrea Agnelli
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Ansa Sconfitta Agnelli e Bonucci

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