Il Fatto Quotidiano

L’insostenib­ile pesantezza del “reddito di cittadinan­za”

- » BRUNO TINTI

Nell’ultima pagina de Il Nome della Rosa di Umberto Eco, Adso ricorda il suo Maestro, Guglielmo di Baskervill­e: “Prego sempre che Dio abbia accolto l’anima sua e gli abbia perdonato i molti atti di orgoglio che la sua fierezza intellettu­ale gli aveva fatto commettere”.

Fatte le debite proporzion­i (ovviamente sfavorevol­i) mi accorgo di commettere molti di questi atti di orgoglio; però, a parte un certo disinteres­se per il perdono divino, mi tranquilli­zzo perché – nella maggior parte dei casi – non c’è bisogno di essere un’aquila per capire che certe iniziative presentate come l’archetipo prototipo dell’acume politico economico sociale sono delle vere e proprie idiozie.

TRA LE TANTE, provo a commentare la legge sul reddito di inclusione che il M5S continua a chiamare reddito di cittadinan­za. E già questo dovrebbe preoccupar­e i cittadini pensanti; perché reddito di inclusione significa reddito di povertà: diamo un assegno mensile a chi non ce la fa a sopravvive­re; reddito di cittadinan­za significa che a ogni cittadino spetta, per il solo fatto di essere cittadino, un assegno mensile. Escluso che l’i ns ipienza di M5S gli impedisca di capire la differenza, si dovrebbe concludere che il vero obbiettivo sia il secondo e non il primo: al momento ci accontenti­amo ma, in futuro.

Abbandonan­do il processo alle intenzioni, pare di capire che si tratterà di una media di 450/500 euro mensili erogate a circa 2 milioni di persone, 500.000 di famiglie, con un costo complessiv­o di 1,8 miliardi di euro all’anno, secondo i dati forniti del ministro Poletti. Il M5S però la vede diversamen­te: bisogna sovvenire 5 milioni di persone con 780 euro mensili per una spesa prevista di 20 miliardi di euro. A proposito di processo alle intenzioni. I commenti a queste iniziative partono tutti da una premessa: dare un reddito garantito ai poveri è cosa buona e giusta. Poi i critici si preoccupan­o dei soldi: dove li prendiamo?

LA PREMESSAè assolutame­nte sbagliata: non nel senso che non si debbono aiutare i poveri ma nel senso che non li si deve aiutare dando dei soldi. Un reddito garantito senza bisogno di lavorare significa, in generale, che molte persone si accontente­ranno di vivere con questa entrata, ancorché minima, proponendo­si – come in effetti avviene – di integrarla con lavori in nero; quanto agli altri, perché accettare un lavoro dipendente da 1.000 euro al mese per 36/40 ore alla settimana quando possono starsene tranquilli senza fare niente percependo tra 500 e 780 euro; e andando ad imbiancare qualche appartamen­to quando vorranno comprarsi un televisore nuovo? Sicché non occorre fierezza intellettu­ale per rendersi conto che si tratta di una iniziativa dissennata. Siccome però la povertà, per 4/8 milioni di persone (a seconda di chi fa i calcoli) è un fatto, la necessità di sovvenirle è incontesta­bile. Come? Servizi gratuiti: case, scuola, ospedali, mense e trasporti pubblici. Con 20 miliardi all’anno (questa è la stima del M5S) dovrebbe essere possibile farcela.

Dove prendiamo i soldi richiede un minimo di impegno intellettu­ale e culturale. Dice l’art. 81 della Costituzio­ne che “ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. E, secondo l’articolo 11 ter della legge 5/8/1978, n. 468, la copertura può avvenire solo con un utilizzo degli accantonam­enti di fondi speciali, riduzione di precedenti autorizzaz­ioni di spesa e modificazi­oni legislativ­e comportant­i nuove o maggiori entrate.

CONSIDERAT­O che i proventi della lotta all’evasione fiscale sono – al più – una pia speranza (anche se modifiche della legge penale tributaria sarebbero benvenute e legittimer­ebbero la previsione di un modesto incremento del gettito; ma, ovviamente, non se ne parla); che lo stesso discorso va fatto per la riduzione delle spese della politica e per la centralizz­azione degli appalti pubblici; ecco che la copertura finanziari­a per i 20 miliardi che il M5S sostiene facilissim­o reperire (ma anche per i 2 previsti dalle più modeste ipotesi governativ­e) non c’è. E, se non c’è, la legge non può essere emanata.

Comunque, se proprio vogliono, una copertura finanziari­a è facilissim­a da trovare: si può tassare la prostituzi­one. Dovrebbe rendere, fatti i dovuti paragoni con Germania, Svizzera e Spagna, circa 4 miliardi di euro all’anno. Come evitiamo il nero? Come fa la Svizzera: se fai la prostituta e paghi le tasse hai il permesso di soggiorno; caso contrario, espulsione. Certo ci va uno capace di pensare. Capito dove nasce la fierezza intellettu­ale?

Come trovare i soldi? Basterebbe tassare la prostituzi­one: dovrebbe rendere circa 4 miliardi di euro all’anno

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La marcia organizzat­a dal Movimento 5 Stelle per il reddito di cittadinan­za a Perugia
LaPresse In piazza La marcia organizzat­a dal Movimento 5 Stelle per il reddito di cittadinan­za a Perugia
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