Dal c’era una volta al così è: l’evoluzione della storia italiana
Come sottolinea Ernesto Galli della Loggia, l’autobiografia di ciascuno coincide con quella della nazione
“Sono nato italiano – dice Ernesto Galli della Loggia – ma mi viene da chiedermi, a volte, se morirò tale”. Lo storico, nonché editorialista del Corriere della Sera, pone a se stesso questa questione apparentemente personale ma – ovviamente, parlando al lettore – sentita da tutti in Il Tramonto della Nazione. Retroscena della fine (editore Marsilio), il suo ultimo libro.
Galli della Loggia è anche l’autore di un celebre libro, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, una sorta di scavo tra i tre nodi colti nella data emblema dell’irrisolta identità italiana, l’8 settembre (quella che allo smarrito Alberto Sordi, nel ruolo di soldato sorpreso dall’offensiva germanica, ignaro del voltafaccia, fa dire: “L’alleato è passato al nemico”).
Si nasce impreparati nascendo italiani. E vieppiù smarriti. L’autobiografia di cia- scuno coincide con quella della nazione e Galli della Loggia che vede smarrire, coi pezzi di Patria, un orizzonte familiare, descrive “lo svanire di principi e istit ut i” col rammarico del realista giammai sedotto dalle illusioni.
Appunto: se ne va via il buongiorno ai passanti, ancorché sconosciuti, e se ne scivolano inghiottiti dal nulla il liceo Classico, la Santa Messa, lo spadino dei cadetti e i berretti della goliardia universitaria.
Non c’è più la fabbrica e non ci sono, quindi, gli operai. Le campagne sono deserte e non vi abitano più i contadini. Le masse lavoratrici hanno ceduto il passo all’indistinto magma del precariato urbanizzato, periferico, socialmente irrilevante e così, nella disintegrazione di ciò che fu l’Italia – quella del dopoguerra, vivificata dal boom economico – se ne vanno a morire le aziende simbolo: la Rai, l’Alitalia e lo stesso Potere col P maiuscolo la cui sparizione s’impone come un buco nero dove va ad annullarsi, con l’Italia in sé, lo stesso popolo.
Non è un “c’era un volta” il nocciolo del tramonto d’Italia, piuttosto “un così è”. Il sistema dei partiti che faceva da collante – il vero potere della prima stagione repubblicana – non ha ancora avuto una sostituzione e la politica, con la minuscola, forse difetta di collaudi culturali ma oggi svela un inoppugnabile esito: l’Italia del Popolo, col P più rarefatto possibile, non esiste. Come non è mai esistita ben prima di qualunque retorica – quella risorgimentale in testa, figurarsi il dopo – altrimenti, tra principi e istituti ormai fallati, il vuoto del Potere maiuscolo, il Sud, dovrebbe come minimo accendere “una primavera araba” e non quella sorta di landa di tutte le Gomorre cui è ridotto. Ma si sa: “impossibile”, spiega Galli della Loggia, “essere liberali in un paese povero”. Comunisti invece sì. A patto di essere ricchi, diremmo con Ennio Flaiano. Nel lusso borghese del bel tempo che mai fu. E che, nell’automatismo degli illusi – pronti a credere anche al 2 giugno – sempre così è.