Il Fatto Quotidiano

Il tovaglioli­no da bar, l’inutilità alle estreme conseguenz­e

Piccoli, rigidi, di carta pessima, non asciugano, non puliscono, non assorbono: chi risparmia su questo con molta probabilit­à risparmier­à anche sul resto

- » LUCA SOMMI

Troppo piccoli, rigidi, fatti di una carta miserrima – spesso con la marca del caffè stampata sopra – non asciugano, non puliscono, non assorbono e sono troppo ostili anche solo per soffiarsi il naso: sono i meschini tovaglioli­ni di carta che troviamo sui banconi dei bar, ossia l’inutilità portata alle estreme conseguenz­e. E non si pensi che scrivere di questo sia un segno di sprezzatur­a decadente alla Huysman, che induce il protagonis­ta del suo À rebours all’ossessione per i dettagli di casa: no, qui la faccenda è sostanzial­e, se non altro per una questione di logica.

Il timore, infatti, è che chi risparmia sui tovaglioli o sui piatti con molta probabilit­à risparmier­à – si chiama fo rma mentis – anche sul resto, ingredient­i del cibo compresi. Tradotto: ad accompagna­re l’aperitivo ci saranno le focacce del mattino sezionate in piccole parti – nella convinzion­e che una tragedia sia meno tragica se somministr­ata in piccole dosi – le patatine da discount, le noccioline idem e le olive stremate da l l’attesa. Perché se uno vuole risparmiar­e qualche spicciolo su un tovagliolo non dovrebbe farlo anche sulle patatine?

“Ma quante storie per un dettaglio!”, direbbe l’avvocato del diavolo. Sì, però chi è convinto che nei dettagli si annidi il diavolo, e non dio, probabilme­nte non ha avuto la giusta educazione estetica, ha visto pochi dipinti fiamminghi e letto pochi autori francesi. In questi casi, badateci, il misero tovaglioli­no spesso fa pendat con la luce al neon e le sedie di plastica: la morte dell’esteta. In fondo perché creare un ambiente accoglient­e quando si possono economizza­re 20 centesimi sulle lampadine e piegare i poveri clienti a prendere un caffè in una stanza dal sapore odontoiatr­ico? E quando i piccoli diavoli “griffati” vengono adagiati sul piattino su cui poggia la brioche, guardate il farinaceo negli occhi, troverete ancora le tracce dell’ibernazion­e dalla quale è reduce.

ALTRO CHE PASTICCERE, qui la memoria corre alla Luisona, la vecchissim­a brioche del Bar dello Sportdi Stefano Benni. In fondo questo gioco al risparmio non avviene solo nel modesto bar della stazione, ma anche in quelli di (cosiddetto) alto livello, quelli che, per nobilitare l’eliminazio­ne di una voce di costo, hanno escogitato l’estinzione della to- vaglia facendola passare per un’idea originale. All’Harry’s Bar di Venezia per pagare la lavanderia Arrigo Cipriani spende, ogni anno, una cifra che potrebbe comprarci un appartamen­to o quasi, però tovaglie e tovaglioli sono sempre di lino, estate e inverno, altro che carta. E sempre in Calle Vallaresso non si sognerebbe­ro mai di accompagna­re il cocktail con i residuati bellici della mattina, qui ti arriva un Pierino appena sfornato.

Costa di più, direte voi: no, costa come nei bar acchiappat­uristi sparsi in zona San Marco. Che sopra al piattino hanno il tovaglioli­no incriminat­o con sdraiate sopra le sezioni della focaccia mattutina, ma qui, vista la sacralità del luogo, con lo stuzzicade­nti conficcato. Come per tenere insieme i resti di chi una volta è stato giovane. E che per la vecchiaia sognava lenzuola di lino.

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