Il Fatto Quotidiano

Le intercetta­zioni e la giustizia del IV secolo d. C.

- » ORAZIO LICANDRO

“Valente, poiché riteneva, come gli suggeriva Modesto, che l’esame di un gran numero di cause fosse stato introdotto per avvilire la maestà dell’imperatore, se ne astenne completame­nte e aprì le porte alle ruberie che di giorno in giorno aumentavan­o grazie alla malvagità dei giudici e degli avvocati i quali, pari nella perversità dei sentimenti vendevano le cause dei poveri ai funzionari militari oppure ai potenti di corte e si guadagnava­no ricchezze o onori insigni (…). Ora si possono incontrare in tutte le regioni orientali tipi di uomini violenti e rapacissim­i, che volano da un foro all’altro (...). Altri a bella posta ingannano con intricate indagini i tribunali, i quali, quando procedono rettamente, sono templi della giustizia, ma, allorché sono corrotti si riducono a fogne cieche e ingannevol­i. Se qualcuno sorpreso vi cade, non riesce a uscirne che dopo molti lustri e dopo essere stato succhiato sino alle mi- dolla. Poi vi sono quanti, abbandonat­e le scuole anzitempo, corrono qua e là per gli angoli della città (…), esortano qualsiasi cittadino innocente a inutili processi (...). Quando sono nell’impossibil­ità di fornire le prove delle loro tesi si abbandonan­o a sfrenate ingiurie (…). Alcuni di loro sono talmente ignoranti da non ricordarsi nemmeno d’aver mai avuto per le mani codici di leggi”. Sem- bra una fotografia della situazione italiana – corruzione, avidità, ignoranza, contatti tra avvocati e magistrati per affari privati – e invece si tratta del crudo quadro della giustizia romana nel IV secolo d. C. dipinto da Ammiano Marcellino ( Le storie 30.4.1-22). Ma cosa avrebbe scritto se avesse letto le intercetta­zioni di alcune delle numerose inchieste italiane?

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