Guerra dei 6 giorni Quel blitz di 3 ore e il mondo cambiò
1967-2017 50 anni fa la III guerra arabo-israeliana, una storica vittoria militare di Tel Aviv che, tuttavia, si tramuterà nella peggiore sconfitta storica. Per tutti
La Guerra dei Sei Giorni durò quanto la creazione, ma dopo tre ore era già praticamente decisa. Tant'è che poco prima delle 10 del 5 giugno 1967, appena 150 minuti dopo il decollo dei caccia israeliani verso le basi dell'aviazione egiziana, siriana e giordana, il generale e futuro presidente Ezer Weizman chiamò casa e annunciò alla moglie: “Cara, abbiamo vinto la guerra”. Di fatto era così, anche se poi le operazioni militari si protrassero fino al 10 giugno. Con un blitz a sorpresa, tipico caso di guerra preventiva, scattato alle ore 7.10 e battezzato Operazione Focus, l’aeronautica di Tel Aviv guidata dal generale Motti Hod aveva volato a bassa quota per sfuggire ai radar, raggiunto 13 basi egiziane e annientato quella del Cairo senza lasciare il tempo a uno solo degli aerei di Gamal Abdel Nasser di levarsi in volo. Un pilota su tre ucciso, 286 aerei da combattimento su 420 polverizzati sulle piste. E la stessa sorte era toccata a quelli siriani e giordani. Il seguito, con le truppe della Lega Araba decapitate della copertura aerea, sarebbe stato poco più che una passeggiata.
Il piano era stato messo a punto dal capo di Stato maggiore Yitzhak Rabin, futuro premier e Nobel per la pace, e autorizzato dal neoministro della Difesa, cioè della Guerra, il generale Moshe Dayan, l’eroe nel ’56 della campagna del Sinai, l’uomo con la benda nera sull’occhio sinistro perduto nella Seconda guerra mondiale. Eppure il conflitto che più di tutti, dal 1945, avrebbe cambiato la storia del mondo, era scoppiato per un malinteso. Anzi, per una serie di equivoci che venivano da lontano.
Israele nasce il 14 maggio 1948 da una risoluzione dell’Onu che spartisce la lingua di terra stretta fra il fiume Giordano e il Mediterraneo in due Stati: uno ebraico e uno arabo- palestinese. Gli ebrei accettano e insediano subito il loro primo presidente David Ben Gurion, laburista cioè socialista (l’Unione Sovietica è uno dei primi governi a riconoscerli come Stato). Gli arabi invece rifiutano e scatenano la guerra per “buttare a mare gli ebrei” e prendersi tutto per sè. Il 15 maggio, mentre gli inglesi si ritirano, gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, insieme agli arabo-palestinesi, attaccano Israele ancora in fasce. E vengono sconfitti. Risultato: 711 mila profughi palestinesi lasciano Israele e si rifugiano in Giordania e nella West Bank (la Cisgiordania formata da Gerusalemme Est e dalle bibliche Giudea e Samaria); 600 mila profughi ebrei abbandonano le loro case nei paesi arabi e trovano riparo in Israele. Dopo l’armistizio, Israele si ritira da quasi tutti i territori occupati, perlopiù destinati dall’Onu allo Stato palestinese: la striscia di Gaza che va all ’ Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est che vanno alla Transgiordania (d’ora in poi Giordania); solo parte della Galilea viene annessa dallo Stato ebraico. Ma neppure ora i palestinesi e i loro presunti alleati arabi danno vita allo Stato di Palestina. Intanto, al Cairo, il generale Nasser che nel 1952 ha rovesciato re Farouk assume il controllo del canale di Suez scippandolo al Regno Unito. È il 1955. Londra interrompe i rifornimenti di armi e i finanziamenti per la diga di Assuan e Nasser, per tutta risposta, nel 1956 nazionalizza il canale, lo chiude alle navi commerciali di Israele, si allea con l’Urss e avvia un poderoso piano di riarmo.
Francia, Gran Bretagna e Israele intervengono militarmente, con l’appoggio americano, nella seconda guerra arabo-israeliana. Fra il 29 ottobre e il 5 novembre l’esercito di Nasser è in rotta, mentre le truppe con la stella di Davide al comando di Dayan dilagano fino a Sharm-el-Sheik. E, se a bloccarle non intervenisse l’Onu per ordine Usa, arriverebbero al Cairo. Bilancio finale: mille caduti e 6 mila prigionieri egiziani; 180 morti e 4 prigionieri israeliani.
La tensione si placa per dieci anni, ma il fuoco cova sempre sotto la cenere, per la gran voglia di rivalsa dell’Egitto umiliato nel Sinai e per la guerra fredda tra Usa e Urss, che giocano sullo scacchiere mediorientale una partita tutta loro. Il 7 aprile 1967 il governo israeliano del pur mite presidente Levi Eshkol ( che ha preso il posto della dura Golda Meir) risponde all’ennesimo attacco siriano dalle alture del Golan contro contadini e pescatori dell’Alta Galilea: sei Mig sovietici nuovi di zecca appena arrivati a Damasco da Mosca vengono abbattuti.
Così anche la Siria – che ha iniziato a foraggiare al Fatah, l'organizzazione estremista palestinese fondata da Yasser Arafat e protagonista di continui di attacchi terroristici a Israele – ha una gran sete di revanche.
Il 3 maggio re Hussein di Giordania, inviso alla Siria per il suo doppiogiochismo, fa visita al Cairo, firma un accordo militare con Nasser, pone il suo esercito (la mitica Legione Araba) sotto il comando egiziano e consente il rientro del capo dell’Olp Ahmed Shukeiri a Gerusalemme Est per riprendere la propaganda di annientamento d’Israele. Intanto l’Urss preme su Nasser perchè solidarizzi con Damasco, con cui ha siglato nel novembre 1966 un patto di mutua assistenza militare. Nasser sa di non essere pronto a un’altra guerra (il meglio del suo esercito è impegnato nello Yemen) e nicchia. Ma Mosca lo imbottisce di fake news su un imminente quanto inesistente attacco israeliano alla Siria. Nasser se la beve e si prepara allo scontro con la più classica delle provocazioni. Il 14 maggio, mentre Israele festeggia il suo 19° anniversario, truppe egiziane si ammassano nel Sinai. Quel giorno, in ossequio all’ultimo armistizio, il governo Eshkol evita di
far sfilare i carri armati nella parata militare. Ma i sovietici convincono Nasser che l’assenza dei mezzi corazzati israeliani vuol dire una sola cosa: che sono già dislocati altrove, contro di lui.
Così, in una settimana, le truppe egiziane nel Sinai salgono a 100 mila soldati e quasi mille carri armati pronti all’uso. Il 16 maggio l’Egitto chiede all’Onu di ritirare i caschi blu che, dopo la guerra del ’56, fanno da forza di interposizione nel Sinai, e il segretario generale U-Thant li sloggia. Il 22 maggio Nasser annuncia il blocco navale allo stretto di Tiran, sul golfo di Aqaba, dove si affaccia il porto israeliano di Eilath, destinatario della gran parte dei rifornimenti petroliferi a Tel Aviv. Non che voglia la guerra, anzi: le solite fonti diplomatiche farlocche gli assicurano che gli Usa fermeranno Israele. Ma non è vero.
Washington, impegnata nella disastrosa guerra del Vietnam, ha altro a cui pensare. E l’Urss non vede l’ora che scoppi la guerra, per assestare agli israeliani, dunque agli americani, un colpo mortale dopo il golpe dei colonnelli in Grecia propiziato dalla Cia. Del resto, per lo Stato ebraico, lo strangolamento economico è la goccia che fa traboccare il vaso. Assediato dagli assembramenti di truppe ai suoi confini su tre fronti (egiziano, siriano e giordano), minacciato dagli urli di guerra in tutte le capitali arabe, Israele è visto dal mondo come Davide contro Golia, abbracciato da un’ondata popolare di solidarietà in tutto l’Occidente, anche e soprattutto a sinistra. In Francia gli intellettuali che daranno vita al ’ 68, come Menachem Begin ( leader dell’opposizione di destra Likud, fino ad allora sempre esclusa dai ministeri laburisti) ministro senza portafoglio e Dayan alla Guerra.
Protagonista nel ’56 della cavalcata vittoriosa nel Sinai, Dayan è già un padre della patria. Ha abbandonato la politica e l’esercito per dedicarsi con la figlia all'’ rc h e ol o g ia . Nelle sue memorie racconterà: “Il mio nome, Moshe, ha un’origine dolorosa. Era stato inciso, un anno prima della mia nascita, su una solitaria pietra tombale in un uliveto presso Deganiah, dove il Giordano defluisce dall’estremità meridionale del lago di Tiberiade. Era la prima lapide mortuaria di quell’insediamento ai primi passi, il tentativo iniziale del Movimento sionista di dar vita a kibbutz... Uno di quei giovani pionieri era il 19enne Moshe Barsky, giunto dalla Russia per ridare vita alla Terra d’Israele. Un sabato mio padre s’ammalò, e Moshe si offrì di correre in un villaggio a pochi chilometri per trovare delle medicine... Poco prima del tramonto il suo mulo fece ritorno senza di lui. Barsky era stato assalito da sei arabi che gli avevano sparato alle spalle... Un anno dopo, il 14 maggio 1915, io vidi la luce a Deganiah e mi fu imposto il nome di Moshe...”. Laburista con fama di falco, è noto per il rispetto dei diritti umani anche nella più cruenta delle battaglie: “Il massimo di tortura che un prigioniero deve subire – raccomanda ai suoi uomini – è mangiare il rancio dell’esercito israeliano”. Al solo annuncio del suo ritorno, i soldati di Tsahal s’abbracciano in lacrime.
Liquidati gli egiziani dopo il blitz aereo, la battaglia più aspra è quella tra giordani e israeliani per la conquista di Gerusalemme, finora spaccata in metà. I cecchini di re Hussein, sostenuti da una divisione inviata dall’Iraq, sono nascosti ovunque nei luoghi santi, persino dentro le moschee. Ma Dayan, resiste alle pressioni dei falchi veri e vieta l’attacco frontale e le armi pesanti: “Circonderemo Gerusalemme, se necessario, ma non entreremo. Niente artiglieria né appoggio aereo. Nessun danno ai luoghi sant i”. L’archeologo vince sul soldato. E il 7 giugno, quando i militari raggiungono il Muro Occidentale (o “del pianto”, ultimo residuo di quello distrutto da Tito nel 70 d.C.), un momento che il popolo ebraico attende da 2 mila anni e a cui non ha voluto mancare il vecchio Ben Gurion, il generale- ministro con la benda nera proclama: “Siamo tornati nei nostri luoghi più sacri. E tendiamo la mano ancora oggi ai nostri vicini arabi, con più solennità che mai”. Torna la libertà di culto per tutti, negata agli ebrei nei 19 anni di occupazione giordana e ora suggellata da Dayan con in preghiera coi palestinesi musul- mani nella moschea Al-Aqsa.
Si combatte anche sul fronte siriano, ma molto meno del previsto. Damasco fino al 9 giugno è rimasta a guardare, forse per ripicca contro l’asse Egitto-Giordania, forse perchè s'è bevuta la propaganda di Nasser che annunciava mirabolanti trionfi mentre il suo esercito era già in rotta. Ora lancia un debole attacco di terra, subito respinto da Tsahal che occupa l'altopiano del Golan: potrebbe arrivare a Damasco, ma Dayan lo ferma proprio alle porte, temendo un intervento sovietico.
Il cessate il fuoco scatta l'11 giugno. Israele ha occupato territori tre volte più grandi di sè (68 mila kmq) perdendo 700 uomini; gli arabi sono stati sconfitti su tutti i fronti e piangono quasi 20 mila caduti. Nasser dà le dimissioni, poi le ritira a furor di popolo. La Giordania deve ripiegare dietro il Giordano e cedere Cisgiordania e Gerusalemme Est; l’Egitto mollare Gaza, il Sinai fino a Suez e Sharm -el-Sheik; la Siria rinunciare a parte del Golan. Tutti territori (Gerusalemme a parte) che Israele non può annettere, per non snaturarsi in uno Stato a maggioranza arabo-islamica, e che intende restituire in cambio della pace. Cosa che farà con l'Egitto a Camp David nel 1978, dopo l’ennesima guerra (quella del Kippur nel 1973) scatenata e perduta dagli arabi, rendendo al successore di Nasser, Anwar el-Sadat, il Sinai e Sharm (non la polveriera di Gaza perchè il Cairo non la vuole). Ma non potrà fare altrettanto con gli altri Stati arabi, sempre in guerra con quello ebraico.
Alla lunga, l’occupazione di Cisgiordania e Gaza, da storica vittoria militare, si tramuterà nella peggiore sconfitta storica. Il sogno della Grande Israele biblica attizzerà gli appetiti religiosi e coloniali del gruppi ebraici più estremi, stravolgendo uno Stato finora laico e socialista. L’ennesima disfatta militare convincerà i palestinesi ( e non solo loro) che non resti altra soluzione che il terrorismo: tantopiù che si ritroveranno contro non soltanto Israele, ma anche i finti alleati arabi, dalla Giordania al Libano all’Egitto, autori dei peggiori massacri di palestinesi della storia. E il terrorismo chiamerà repressione, in un’escalation di odio e morte senza fine. Il mite presidente Eshkol l'aveva previsto subito, mentre tutti festeggiavano la riconquista di Gerusalemme Vecchia: “Abbiamo ricevuto una buona dote, purtroppo accompagnata da una sposa che non ci piace”. Si era aperto il vaso di Pandora della città santa per le tre religioni monoteiste. E intanto, agli occhi del mondo, Israele aveva perso l'innocenza. Davide era diventato Golia.
Blitz lampo Il conflitto durò quanto la Creazione biblica, ma dopo tre ore era già praticamente deciso. Eppure le conseguenze di quello scontro le paghiamo ancora oggi