Jack Nicholson e Bertolucci uniti dal due di picche
Un doppio due di picche. Nel mazzo di Zouzou, attrice francese rohmeriana ( L’amore e il pomeriggio), ce n’erano due, e quando li calò fu l’inizio di una splendida amicizia per Bernardo Bertolucci e Jack Nicholson. Un film insieme non l’hanno fatto mai, eppure, amici lo sono da tempo, dalla metà degli anni 60, dal Festival di Pesaro, anzi, dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema. Andavano dietro entrambi alla bella Zouzou (al secolo Danièle Ciarlet), ma lei non volle né l’uno né l’altro: mal comune, mezzo sodalizio. Pesaro, in quegli anni, parlava alto, discettava di soggettiva libera e indiretta, soggettività dell’autore, sperimentazione e tensione stilistica e “quel genio di Glauber Rocha”.
EPPURE, il cinema non era tutto, non eludeva la vita: “Ci divertivamo anche un sacco, in questo eravamo molto all’antica: per noi il primo piacere erano le donne, il sesso. Eravamo vitalisti, ci davamo da fare, i nostri dopofestival erano famosi. Ora è tutto molto più casto”. Bruno Torri, Pesaro, l’ha ideato e progettato con Lino Micciché alla fine del 1964, realizzato l’anno successivo e gli occhi gli brillano ancora. Passano gli anni, i film e gli autori, ma il vitalismo quello no. Torri ride sotto i baffi che non ha, e molto serba, molto cela: Pasolini lo definì un luogo dello spirito, ma anche per lui – gli chiediamo – fu della carne? Strabuzza, ricaccia indietro reminiscenze e professa ignoranza, Torri: “Sessuale? No, luogo di studio, discussione e confronto. E critico, con Pier Paolo che in convegno divideva tra cinema di poesia, quello di Bernardo e Glauber, e cinema di prosa, quello di Ford e di Olmi”. C’era anche Jean-Luc Godard e il biglietto da visita che Torri estrae dalla memoria è preventivo e insieme lusinghiero: “Fu molto simpatico con noi. Venne già alla seconda edizione e non fece cose particolarmente strane: ci consigliava titoli da Parigi, era ancora quello della prima Nouvelle Vague, non aveva fatto conversione politica al maoismo”. Non era ancora il narciso vanaglorioso inteso all’ultimo Festival di Cannes da Le redoutabledi Michel Hazanavicius. Ma JLG già studia- va da bastian contrario e imbrattava i monumenti coevi, non fossero altro che Pasolini e il semiologo Christian Metz da lui apostrofati “les flics”, gli sbirri. Non c’entrava la poesia, peraltro posteriore, di PPP su Valle Giulia, “erano motteggi gratuiti, Pasolini era un po’burocratico e Godard avrebbe ucciso per una battuta”, ricorda Torri. E senza sforzo apparente preserva il volemose bene di una generazione di cinema e lotta a geometrie variabili: “Legavano molto, Pier Paolo e Jean-Luc, erano abbastanza convergenti sulla nozione di nuovo. Non l’abbiamo inventato noi il nuovo cinema, piuttosto Pesaro lo scoprì e lo valorizzò, dalla scuola di Barcellona alla nová vlna cecoslovacca fino al cinéma nôvo brasiliano”. E ci venivano tutti, da Joris Ivens a Roberto Rossellini, che “da uomo pragmatico qual era” lasciava disquisire PPP e preferiva consigliare sulla logistica e l’ organizzazione del festival, da Cesare Zavattini a Jonas Mekas e Jean-Marie Straub. E Norman Mailer, che già famoso scrittore scelse la cittadina per presentare il suo primo film da regista, Beyond the Law. E, appunto, Nicholson: “Non venne da solo attore, ma da co-regista con Monte Hellman di The Shooting del ’66. Era simpatico, alla mano, Jack, e fece innamorare di sé molte fanciulle, ma Zouzou no. Ah, gli devo ancora 120 dollari di rimborso per il viaggio”. Pesaro lo omaggiò la Cinémathèque Française del mitico Henry Langlois, lo omaggiò il MOMA di New York, e lo copiarono tutti gli altri: “All’estero ebbe più successo che in Italia, posso dire che divenne oggetto di culto, la sua identità culturale e politica molto marcata fece proseliti. Per esempio, Gianni Rondolino modellò il Cinema Giovani di Torino su questa esperienza”.
UN’ESPERIENZA che passò quasi indenne per il Sessantotto, anche se non fu semplice. La Mostra ebbe luogo pochi mesi dopo Cannes, che al quarto giorno interruppe le proiezioni per la contestazio- ne di Godard, Truffaut e gli altri. “Goffredo Fofi, Roberto Faenza e altri giovani cineasti e studenti che volevano scavalcare a sinistra comunisti e socialisti vennero a Pesaro per contestare, ma noi – rivendica Torri – aprimmo porte e cancelli, mentre per la città si inneggiava a Ho Chí Minh. Unica vera concessione, abolimmo i premi del pubblico e della critica”. Negli anni successivi ci furono i sovietici, che il buon Micciché dovette redarguire sull’uso delle cuffie per la traduzione simultanea, i cubani e tanti, tanti sudamericani: per dirla con gli Offlaga Disco Pax, il socialismo era come l’universo: in espansione, e Pesaro ne era il fedele modello su scala. Molte cose sono cambiate da allora, si sono succeduti i direttori, da Micciché a Torri, da Giovanni Spagnoletti a Marco Müller ad Adriano Arpà all’attuale Pedro Armocida, e massimamente è cambiato il cinema, ma non lo specifico, non l’utopia di Pesaro. Essere un piccolo mondo antico per il Nuovo Cinema.
RICORDI Il fondatore, Bruno Torri: “Bertolucci e Nicholson furono respinti da Zouzou E Godard dava dello ‘sbirro’ a Pasolini”