Il Fatto Quotidiano

IO NON RIESCO A PERDONARE LO STATO DEVE ESSERE SERIO

- » NANDO DALLA CHIESA

La dignità, certo. Nel momento della morte, certo. Morirono ricchi di dignità gli uomini e le donne che Riina fece squartare e sfigurare, togliendo loro la possibilit­à di essere anche solo sfiorati in viso dai loro cari. Dignitosi nell’animo, macellati nelle carni.

Mentre nessuno macellerà nelle carni Totò Riina, che a quelle carneficin­e brindava felice con il suo “mo esc ia nd on ”. Verrebbe voglia di chiedersi a quali diritti possa mai appellarsi chi, per mezzo secolo, ha fatto strame dei diritti altrui. Poi avanza la ragione della propria diversità.

Io non perdono. Lo considerer­ei un tradimento non solo verso la mia storia, ma verso centinaia e centinaia di altre terribili storie. Ma so accettare che un ergastolan­o ebbro di sangue, possa uscire dal carcere per andare a morire nel suo letto. Non diciamo “dignitos a m en t e ”, però, perché mai Totò Riina potrà morire con dignità. Diciamo “in libertà”; ovvero dignitosam­ente per noi, per la nostra democrazia, perché gli siamo infinitame­nte superiori. Accetto che esca per andare a morire nel suo letto, però. Non per starsene agli arresti domiciliar­i a dare ordini o minacciare. Perché ricordiamo bene i ciechi messi in libertà che vanno a fare stragi di testimoni. I pazzi che riprendono lucidament­e le fila dei loro affari. I moribondi che d’incanto si svegliano e camminano. Se Riina è moribondo, se ha cioè i giorni contati, lo decidano periti medici liberi e ci si giochino la faccia pubblicame­nte, profession­almente. La Cassazione ha raccolto perizie incontrove­rtibili prima di lanciare il suo messaggio? O ha sposato per principio l’idea che un mafioso che arriva su un lettino a un processo sia ormai in fin di vita?

Questo è il problema. Ne stiamo vedendo francament­e troppe, di sentenze strane, per non pretendere di stare, almeno questa volta, in uno Stato serio. Generoso, ma serio.

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