Salvini trova l’Arabia Felix
La notte tu mi fai impazzire direbbe a questo punto Matteo Salvini. Guardatelo: beato nello scatto postato su Facebook con Ahlam El Brinis, la faccetta nera dagli occhi maliardi e forte di petto. È la mezzanotte di domenica e il capitano leghista si lascia fotografare in compagnia di quest’abbagliante sirena in un locale di Milano Maritti- ma. Per un istante, il capo sovranista – ma sarebbe opportuna una sbandata – baratta finalmente l’armamentario di slogan anti-immigrati e capitola nel deliquio dell’Arabia Felix. Altro che Calabria Saudita o giù di lì. Tutte le invettive populiste del Bar Sport si dileguano per un attimo – ma ci vorrebbe la svolta di una vita – nell’espressione sognante di Salvini.
Afar da sfondo ci sono dei gaudenti tiratardi, ed è – la scena – il canone capovolto del buonismo della sinistra. Tanto i benecomunisti sono afflitti, infatti, dalla sindrome di “Indovina chi viene a cena?” quanto Salvini, in questa foto – e con lui i suoi seguaci che nei commenti additano, e fanno la ola, le “due bombe arabe” della ragazza – ribalta il tutto in “indovina chi mi porto a cena?”.
ALTRO CHEle agnelline in visita a Laura Boldrini. Nel film di Stanley Kramer con Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Hepburn ( Guess Who’s Coming to Dinner, 1967) c’è il testacoda culturale di una famiglia liberal alle prese col fastidio di ritrovarsi un genero di colore, nella sgargiante avventura social di Salvini, invece, c’è l’inveramento di un contrappasso, il solito: aspetta e spera che già l’ora s’avvicina. Laddove non può lo ius soli arriva l’eros potrebbe dirsi. Leo Longanesi, per raccontare nei suoi giornali la campagna d’Africa degli italiani, mette in copertina una bella ra- gazza abissina a seno nudo. Conosce gli italiani, il grande Leo, e sa qual è il vero motore degli animosi volontari: “Si fa tutta una fa migl ia!”. Indro Montanelli, combattente, ne sposa una tra le sabbie del deserto e Giuseppe Berto, l’autore de Il Male Oscuro, nel costruire l’ultima pagina tutta di dignità e poesia nel suo Guerra in camicia nera cede la scena del saluto romano a una ragazza so- mala. Accade così come Berto descrive l’episodio. La giovane africana congeda il battaglione incolonnatosi verso la sconfitta, rende l’onore delle armi in forza della propria innocenza, ma la strada del meticciato, nella giornata a noi contemporanea, necessita di tappe: dopo l’inciampo di Giovanni Toti – il governatore della Liguria che dialoga come niente fosse con chi parla di “bestie straniere” – c’è la bella foto di Luca Zaia con Isaac Donkor. Il calciatore di colore dell’Inter prestato al Cesena, contento di ritrovarsi accanto al presidente della Regione veneta si ritrova però travolto dagli insulti razzisti degli avventori del leghismo, elettori di Zaia, certo, ma non al punto di digerirne la fraternizzazione con lo “straniero”. C’è un dettaglio su cui soffermarsi in questa vicenda, ed è Zaia stesso a segnalarlo: “Avesse avuto la maglia dell’Inter, Donkor, nessuno avrebbe osato insultarlo”.
IL BAR SPORT – pare malinconicamente sottolineare il governatore veneto – è l’unico luogo di elaborazione culturale della destra, zona franca per campioni della serie A, fossero pure di colore, o per le maghrebine, o arabe o immigrate di vario genere, purché sventole. Una su tutte: Karima El Mahrough in arte Ruby, marocchina, che dalle discoteche di Catania ebbe gloria e manicomio nel My Fair Papidi Silvio Berlusconi. La foto di Salvini con l’avvenente ballerina – “ma lo sa che sei araba”, le chiedono gli amici – è la terza tappa verso la felice contraddizione.
Ma il vero guaio, allora, è il Bar Sport. Abede Elbakki Rtaib scrive così su Facebook: “Non è che se sono figlio di immigrati, allora sono di sinistra. Io sono in tutto e per tutto un conservatore di destra. Il fatto è che in Italia non c’è una destra che ha senso, una che possa rappresentarmi. Tutto qui”. Appunto, tutto qui.