Il Fatto Quotidiano

La Casa Bianca innesca la “tempesta imperfetta”

Domino mediorient­ale Da Siria a Iran le mosse di Washington hanno scatenato un incrocio di rivalità in parte sopite e ora pronte a esplodere

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Donald Trump è convinto di avere fatto ‘Bingo’ nella guerra al terrorismo, scatenando l’Arabia saudita e le monarchie del Golfo contro il Qatar, un vaso di coccio doppiogioc­hista, ma imbottito di gas e petrolio, e contro l’Iran, il bersaglio grosso. Invece Trump ha scoperchia­to il vaso di Pandora dei risentimen­ti arabi e musulmani, molto peggio di una faida corsa e ha così innescato un domino che non lascerà a lungo indenni gli interessi americani nel Golfo. Quanto al l’Europa, è da tempo oggetto d’attacchi di cellule più o meno organizzat­e e cani sciolti. Ma l’escalation del terrore può avvitarsi in una spirale senza fine. Né giova la sensazione di disagio che si percepisce a Washington. Chi può fidarsi fino in fondo d’un alleato che fa il gradasso, ma cambia spesso cavallo? Nel Golfo, la situazione è in rapidissim­a evoluzione. Vediamo come si delinea il Risiko degli amici-nemici in una Regione dove l’ambiguità è regola e l’opacità è virtù.

IN SIRIAtutti sono contro il sedicente Stato islamico, come in Iraq. Però i russisono lì soprattutt­o a difesa del regime di Assad,l oro amico, egli iraniani edHezboll ah libanesi, loro alleati pure. Mentre i turchi sono lì soprattutt­o per tenere sotto controllo i curdi, gli unici a battersi sul terreno contro i miliziani jihadisti: Ankara teme che acquistino troppa autonomia e che trovino sponde per le ambizioni di uno Stato indipenden­te. I turchi hanno un passato non remoto di connivenza con il Califfo: dalla frontiera turca, arrivavano all’Isis foreign fighters e armamenti; e di lì usciva il petrolio. E i turchi hanno pure un passato non remoto di ostilità ai russi che, per difendere Assad,n on fanno troppa distinzion­e fra integralis­ti e‘ moderati ’, ivi compresi i turkmeni molto vicini ad Ankara. Poi Erdogan e Putin hanno deciso d’essere amici: una recita a soggetto già incrinata da screzi.

Gli americani? La loro coalizione, dove la Franciaè molto attiva, si limita ad attacchi aerei contro i jihadisti, con errori di tiro frequenti a detrimento dei civili, mentre la presenza sul terreno si limita a qualche commando. Il ‘padrone di casa’ è l’esercito lealista siriano, molto attivo nel riprendere il controllo di Aleppo e di Homs, bonificand­one i quartieri sotto il controllo dell’opposizion­e al regime, ma meno efficace contro i jihadisti, a parte la battaglia di Palmira, persa, ripresa, ripersa, ripresa di nuovo.

IN IRAQ la situazione è un po’ meno intricata, perché la Russia se ne tiene fuori e la Turchia, che voleva ingerirsi con una presenza militare nel Nord-Est, ovviamente in funzione anti-curda, è stata bruscament­e disincenti­vata a farlo. Contro l’Isis, qui c’è in pri- ma linea, per quel che conta, l’esercito regolare iracheno, insieme alle milizie sciite iraniane o filo-iraniane; le operazioni aeree, invece, vengono condotte in massima parte dalla coalizione coagulata intorno agli Stati Uniti. Qui, come in Siria, il supporto delle monarchie saudite è nullo o quasi, perché il contrasto all’Isis è vissuto come una guerra degli sciiti contro i sunniti, che, padroni del Paese, pur essendo minoranza, durante il regime di Saddam, sono stati emarginati e repressi dai governi sciiti successivi. L’attuale premier al-Abadi cerca di attenuare contrasti etnico-settari, ma non ha ancora fatto breccia. Ed è proprio in Iraq che il sostegno diretto o indiretto del Qatar, ma non solo, ai miliziani sunniti, cioè ai jiha- disti, si manifesta in funzione essenzialm­ente anti-sciita.

NELLO YEMEN, una coalizione sunnita costruita da Ryad e da cui il Qatar è stato appena espulso, sta combattend­o con scarsa efficacia l’insurrezio­ne huthi sciita sostenuta dall’Iran: il Paese resta spaccato in due e se ne ipotizza di nuovo la divisione. Qui tutto parrebbe chiaro: insorti sciiti e Iran contro regime sunnita e coalizione sunnita. Troppo semplice: il fronte sunnita interno non è affatto compatto con l’attuale presidente Hadhi osteggiato dal suo predecesso­re Saleh; e la coalizione è tutt’altro che unita. Qatar a parte, accusato di essere al contempo pro-jihadisti e pro-iraniano, ci sono frizioni anche tra Arabia saudita ed Emirati arabi uniti che han- no nello Yemen interessi non collimanti.

IL GOLFO PERSICOè il teatro di riferiment­o di tutti questi conflitti. L’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo, compreso il Qatar, avevano appena celebrato i riti d’una rinnovata amicizia con gli Usa, basata su una serie di scellerati baratti accettati dall’America di Trump: loro vendono energia e comprano armi per 110 miliardi di dollari in 10 anni; in cambio, ottengono mano libera sul fronte interno – fanno quel che voglio con gli oppositori, che finiscono tutte nella categoria ‘terroristi’, e con la tutela dei diritti dell’uomo e della parità di genere – e s’impegnano a contenere le ambizioni d’egemonia dell’I ran nella Regione – del resto, non aspettavan­o altro. Così l’Iran, che ha fatto un patto nucleare con i5 + 1 e che ha appena rieletto il riformista Rouhani, mostrando volontà di dialogo con l’Occidente, si ritrova sotto attacco terroristi­co, perché i sauditi fomentano le opposizion­i interne, oltreché sotto scacco militare nello Yemen, dove lo era già. E ciononosta­nte sia stato pedina essenziale del contenimen­to dell’I si s , specie in Iraq. Fuori quadro, ma non fuori gioco, l’Egitto di al-Sisi, che gioca la carta del rapporto con Trump, e Israele, cui sta bene tutto quello che indebolisc­e l’Iran e frastaglia il fronte arabo e musulmano.

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Ansa Protagonis­ti ingombrant­i Il raìs siriano Bashar al Assad. Re Salman con Trump
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