Sotto il velo dell’Iran: giovani, “europei” e niente petrodollari
L’Iran, la nazione con novanta milioni di abitanti –il 70% dei quali di età inferiore ai 30 anni – è l’ossessione principale di Donald Trump. Ma la società iraniana, a dispetto della disinformazione della stampa occidentale, è tra le nazioni islamiche quella più coerente agli standard “e ur o pe i”. Quella più sideralmente lontana da qualsiasi tentazione fondamentalista. Anzi, quella più beffarda: “Quando c’era lo scià si peccava in pubblico e si pregava in privato, ora che non c’è lo scià si pecca in privato e si prega in pubblico”. Una sorta di “tedeschi col tappeto”, questo sono gli iraniani: curiosi e innamorati del mondo intorno a loro, in sintonia con la contemporaneità, votati più al bazar che alla psicotica identità del rancore. Come nei confronti dell’Iraq, di cui l’Iran di oggi è protettore, al netto di una pesante eredità di guerra: ogni famiglia iraniana, a seguito dell’a ggressione di Saddam Hussein incoraggiato dagli Usa, ancora oggi piange il ricordo di un morto.
DA PIÙ DI 400 ANNI la Persia non dichiara guerra a nessuno e la vocazione imperiale, infatti, traspare fin nei dettagli più insoliti, non in quelli nazionalistici: a cominciare dai fuochi eterni di Zarathustra. Il clero sciita – la realtà statuale della Repubblica è quella di un’istituzione teocentrica, con la Guida nel ruolo che ebbe nello Stato Pontificio il Papa – non s’è mai osato di spegnere il culto della Persia antica e nelle strade di Teheran è normale scorgere, accanto alle raffigurazioni di Alì, Hosseyn e di altri familiari di Maometto, quelle di Zoroastro. L’Ir a n non è quello raccontato nell’obbligo di esorcismo cui s’è costretti in questo clima di guerra. Chiunque l’abbia conosciuta questa patria dei poeti ha potuto verificare l’enorme differenza – per le libertà individuali, la condizione della donna e i modelli sociali – rispetto alle monarchie dei petrodollari e alle nazioni del Maghreb.
Resta il fatto che è la prima ossessione di Trump, l’Iran. Lo era anche di Hillary Clinton ed è chiaro – in questo avvio di guerra, perché guerra sarà – che la decisione di cancellare Teheran accomuna l’una e l’al- tra America, quella dei Democratici, quella dei Repubblicani e anche quella dei neo-con che avversano Trump.
NON È CERTOun dettaglio, infatti, che il ministro saudita degli Affari Esteri, giusto un paio d’ore prima degli attentati di ieri, nel solco dell’eccitante crisi col Qatar, abbia minacciato l’Iran. E se la rabbia araba contro i persiani covi un risentimento antico – forse più forte del conflitto tra sunniti e sciiti, quali sono gli iraniani – è ben forte il sospetto che la dottrina Bush prima, quella Trump oggi, sveli un non detto razzista contro l’Iran, un desiderio di sopprimerne, con l’identità, anche la legittimità storica. Con l’auspicio di un trattamento “palestinese” sull’Iran o, aggiornando i tempi, “yem en it a” ( dove chi muore, 16.000 caduti dal 2009 sotto i bombardamenti sauditi, non trova la pietà di nessuno). Nel sentimento diffuso di tutti l’Iran è descritto come una dittatura ma in quella complessità fatta di moschee, ingegneristica, chimica e sapienza politica c’è anche un’epica. È quella di Qasem Soleimani, il Garibaldi dell’Iran. La lotta al terrorismo – al netto degli equilibri geopolitici – la fa lui sul terreno.
LUI È QUELLOche ogni giorno, nel teatro di guerra attuale, spara contro l’Isis. Sulle sue gambe cammina l’evidenza della menzogna pronunciata da Trump a Ryad che vede in Teheran la centrale del terrorismo. Grazie a Soleimani – 59 anni, da sempre fedele ad Ali Khamanei, la Guida – i cristiani di Maolula, in Siria, tornano in possesso delle proprie case e delle proprie chiese. E sono i soldati di questo generale – capo della Quads Force, la brigata per Gerusalemme – a ravvivare le speranze dell’I sl am nella guerra al terrorismo bestemmiatore, quello stesso che porta la morte nei luoghi delle libertà d’Occidente come nei santuari della fede in Oriente: gli attentati suicidi in territorio iracheno, nel Libano, in Pakistan e – per la prima volta, ieri – nel cuore della Moschea di Ayatollah Ruhollah Khomeini. È tutta una gara a farne un’epopea della brigata di Soleimani, la formazione di combattenti musulmani e cristiani – siriani aiutati da volontari iraniani e russi – le cui vittorie sono strategiche e simboliche: come quella di restituire alle alture della città martire di Siria la statua di Maria Vergine abbattuta dagli assassini di Daesh. Soleimani è un terrorista per gli Usa e lo è anche per l’Italia. Il suo ritratto – oltre che sui murali, lungo le carreggiate – accompagna l’orizzonte quotidiano sulle copertine dei quaderni. Come ovunque – nei negozi, nei bazar – si trovano le spille con sopra stampato il volto barbuto di questo combattente in mimetica che da ieri, in ogni angolo d’Iran, è atteso come un eroe dei canzonieri persiani.
LO STATO E ALLAH
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