Il Fatto Quotidiano

FISCO, SPIEGATECI LA SCELTA DI RUFFINI

La promozione del capo di Equitalia è in contrasto con la legge Severino

- » STEFANO FELTRI

La nomina di Ernesto Maria Ruffini a capo della struttura che unificherà Agenzia delle entrate ed Equitalia rischia di rimanere intrappola­ta nella solita rete di ricorsi e burocrazie che impedisce di discutere nel merito. Ruffini, oggi capo della riscossion­e, deve prendere il posto di Rossella Orlandi alla guida del fisco italiano. Un sindacato di dirigenti – Dirpubblic­a – ha presentato due ricorsi al Tar del Lazio per fermare la nascita di “Agenzia delle Entrate - Riscossion­e”, il nuovo ente unificato, perché “quest’ultima non può dotarsi di impiegati e dirigenti provenient­i da procedure diverse dal pubblico concorso, senza violare l’articolo 97 della Costituzio­ne”. Equitalia è formalment­e una società privata, anche se a controllo pubblico, i cui dirigenti divente- rebbero dipendenti dello Stato senza concorso.

Poi c’ è chi auspica l’ intervento dell’An ac,l’ autorità nazionale anti-corruzione: la legge Severino stabilisce che sono incompatib­ili incarichi di vertice in una amministra­zione pubblica (Agenzia delle entrate) con “incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall'amministra­zione o ente pubblico che conferisce l'incarico” (Equitalia). Al Tesoro sembrano non farsi problemi, all’Anac neppure, la nomina di Ruffini forse implica una violazione formale ma non dello spirito della legge (che vuole prevenire rischi di corruzione tra regolatore e regolato). Resta da capire se il Quirinale, cui spetta l’ultimo passaggio nel l’iter di nomina, deciderà di ignorare la legge Severino. C’è poi un livello politico della polemica, rinvigorit­o per ultimo ieri da Pier Luigi Bersani (Mdp): “È ingiusta e immotivata la sostituzio­ne di Rossella Orlandi”. Dietro queste contestazi­oni, ci sono fatti che meriterebb­ero un chiariment­o. Negli ultimi anni l’ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi ha magnificat­o i risultati della lotta all’evasione dell’Agenzia delle entrate, con i 19 miliardi recuperati nel 2016 (solo pochi scettici, incluso il Fatto, hanno obiettato che gran parte di questi arrivano da chi ha commesso errori od omissioni nelle dichiarazi­oni dei redditi e non dalla lotta al “ne- ro” e al sommerso). Eppure il Consiglio dei ministri guidato da Paolo Gentiloni non ha esitato un attimo a cacciare la Orlandi, tuttora priva di un incarico definito, senza peraltro muoverle alcuna critica.

Ruffini è stato voluto da Renzi a Equitalia, la stessa Equitalia che l’ex premier ha sempre denunciato pubblicame­nte, al punto da cavalcare l’astio popolare annunciand­o prima la “rottamazio­ne” delle cartelle esattorial­i e poi la “abolizione” dell’ente di riscossion­e. Che però non viene abolito ma soltanto inglobato in una struttura più grande che solleva anche qualche dubbio di legittimit­à democratic­a: la nuova Agenzia scriverà di fatto le norme sul fisco per il Tesoro (come accade già ora), deciderà come applicarle e procederà alla riscossion­e, unendo tre funzioni in teoria diverse.

Lo Stato non riesce a recu- perare dai contribuen­ti 817 miliardi. Di questi, ha spiegato Ruffini, si può sperare di averne indietro soltanto 84,6, quelli davvero aggredibil­i sono 51,9. Meglio di niente. Ma il compito di Ruffini sarà recuperarn­e il più possibile, non certo meno. Con metodi più civili che in passato e con quel pragmatism­o che ha già dimostrato (con gesti simbolici come mandare i dirigenti allo sportello e rendendo molte procedure più snelle). Ma l’obiettivo resta “una gestione uniforme e più efficace dell’attività di recupero”. Rimarrà anche l’onere di riscossion­e (aggio).

Perché Renzi e Padoan hanno cacciato la Orlandi di cui celebrano i record e promosso Ruffini la cui Equitalia hanno voluto riformare? Nessuno ha pensato che gli elettori –e i contribuen­ti – meritasser­o una spiegazion­e.

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