IL COLOSSO SI RITROVA CON I PIEDI D’ARGILLA
Nella partita tra Casa Bianca e accusa a rimanere schiacciate sono le istituzioni
L’unico elemento chiaro e duraturo che emerge da quanto sta succedendo a Washington è l’indebolimento, se non la crisi, delle istituzioni politiche della massima potenza militare, in un mondo in transizione verso una multipolarità non governata. È in corso una battaglia senza quartiere tra un presidente appena eletto e organi permanenti dello Stato che gli si oppongono, pur dipendendo giuridicamente dal presidente medesimo, come testimoniato precedentemente dall’ex direttore del Fbi, James B. Comey. Lo scorso mese, nel corso di un’audizione di fronte alla commissione giustizia della Camera dei Rappresentanti - che detiene il potere di incriminare
(“im pe ac h”) a maggioranza assoluta il presidente in carica per alto tradimento che il Senato, a maggioranza di due terzi, potrebbe rimuovere - disse allora Comey, ancora a capo del Fbi: “In senso legale, non siamo indipendenti dal Ministero della Giustizia” ma “da un punto di vista etico e culturale siamo un gruppo parecchio indipendente e questo è ciò che vorreste [da noi]”. Nel corso dell’audizione d’ieri, di fronte all’omologa commissione del Senato, gli è stato chiesto se Trump abbia compiuto “o- struzione di giustizia”- un reato che aprirebbe la strada per una procedura d’i nc ri mi nazione - ma Comey ha preferito eludere la domanda. Lo stesso investigatore speciale Robert Mueller giuridicamente dipende, pur nell’autonomia della sua funzione, dal ministero della giustizia (articolazione del potere presidenziale) che lo ha nominato.
Ieri Comey ha ribadito l’accusa a Trump di avere scoraggiato l'investigazione del generale Flynn sui suoi rapporti con la Russia, di avere chiesto “loyalty” fedeltà a lui medesimo, prima di licenziarlo, e di avere successivamente mentito sul suo conto. Come ovvio lo scontro è politico, di non breve durata, ma è altrettanto ovvio che entrambi le parti in causa, sia Trump che i suoi accusatori, sono politicamente deboli, mentre le istituzioni politiche forse più nobili e più robuste del mondo pagano il conto finale. Lo sono gli accusatori perchè il loro eroe del momento, Comey, nel corso della campagna elettorale, ha annunciato un’investigazione su conflitti d’interesse emergenti dalle mail private di Hillary Clinton per poi rimangiarsi il tutto, a pochi giorni dal voto. Al di là di Comey, lo stesso castello di accuse costruito dall’esta- blishment non soltanto democratico è fragile perchè colloca Trump nell'improbabile ruolo di un candidato “russo”, perchè sostenuto da inflitrazione e spionaggio da parte russa. È assolutamente plausbile, se non addirittura probabile, che Putin abbia fatto ricorso a simili mezzi, largamente praticati in altra forma dagli stessi Usa per decenni. Altra cosa è farlo espellere da una maggioranza repubblicana quale una sorta di candidato della Manciuria, come da copione del vecchio film degli anni cinquanta. Lo faranno solo se la volgarità e l’affarismo politico, il tradimento materiale del suo elettorato povero, la sua presunta politica estera in frantumi (come dall'attentato a Teheran rivendicato dall’Isis, sostenuto dall’iperalleato saudita), la sua inettitudine al comando istituzionale li costringerà a preferirgli il mediocre, reazionario, ma più docile vice- presidente, Mike Pence.
Donald non cadrà per il Russiagate, ma solo se i Repubblicani molleranno il suo affarismo politico e la sua volgarità