Il Fatto Quotidiano

Database, telefoni e controlli Tutti i buchi dell’intelligen­ce

Antiterror­ismo Il caso del jihadista italiano a Londra mostra le lacune: dalle compagnie aeree che cancellano i nomi agli internet point

- » DAVIDE MILOSA

Sottovalut­azioni, mancanza di metodo investigat­ivo, coordiname­nti ancora macchinosi a livello internazio­nale, la vicenda di Youssef Zaghba non ha solo un risvolto giudiziari­o per comprender­e come l’italo-marocchino nato a Fez nel 1995 abbia intrapreso il suo percorso di radicalizz­azione fino ad arrivare a compiere la strage del 3 giugno sul London Bridge. Oggi la storia del primo tagliagole del Daesh con passaporto italiano rappresent­a uno spartiacqu­e per la nostra intelligen­ce. Un punto da cui ripartire per rimodulare i metodi di valutazion­e dell’allarme e sanare le tante criticità che rappresent­ano un pericolo per la sicurezza nazionale. “In questo momento storico – spiega una fonte qualificat­a dell’in telligence – il comparto antiterror­ismo è sommerso da decine di segnalazio­ni sospette ogni settimana”. Si tratta di indicazion­i (“cifrati” in gergo tecnico), a volte specifiche in altri casi più fumose. “Ma tutte vanno seguite come fossero alert concreti”.

Ecco, dunque, il punto: “Indagare all’incontrari­o per dimostrare alla fine che quella segnalazio­ne era solo una bufala, ma per farlo bisogna utilizzare un metodo da inchiesta criminale, impiegare persone, fare servizi di appostamen­to, intercetta­re in Rete”. Nel solo 2016, i “cifrati” arrivati sul tavolo dell’antiterror­ismo sono stati tremila. “Il rischio è che qualcosa venga inevitabil­mente sottovalut­ato”. La vicenda di Zaghba è lì a testimonia­rlo. Perché se è vero che la Digos di Bologna lo ha comunque seguito fino al 2016, è anche vero “che su di lui all’inizio di quest’anno era stato tolto qualsiasi tipo di alert”. E che il decreto di convalida del sequestro di telefonino, pc e passaporto di Zaghba, poi annullato dal Riesame, era sostanzial­mente privo di motivazion­e salvo il rinvio del pm di Bologna agli atti della polizia. Come un sequestro di quattro spinelli. Invece la minaccia jihadista richiede attenzione e preparazio­ne.

ALTRO FATTORE CRITICO nelle inchieste sul terrorismo islamista sono le compagnie aeree. Lo stesso Youssef in questi anni ha volato spesso. Dal Marocco all’Italia e all’Inghilterr­a. Quante volte? Ancora non si sa. “E forse – spiega un’altra fonte investigat­iva – non si saprà mai”. Motivo: “Le compagnie aeree cancellano le liste dei loro passeggeri. In sostanza, questo avviene anche dopo una sola settimana, e dunque per noi è impossibil­e, quando abbiamo il nome di un sospetto, ricostruir­e la cronologia dei suoi spostament­i”. E del resto nemmeno il pericolo di attacchi terroristi­ci sembra poter modificare la situazione. “Il motivo – ci viene spiegato – è molto semplice: dotarsi di un database che contenga i dati anche di cinque anni fa è molto costoso e soprattutt­o non è in linea con il business delle compagnie”. Ci sono poi i casi limite: è successo qualche tempo fa durante un’indagine nel Sud Italia. La persona, sulla quale c’era molto più che la fiche S di susp ected, ha programmat­o un volo internazio­nale. Da qui l’idea di mettere una microspia sotto al sedile dell’aereo. Chi penserebbe mai di essere ascoltato durante il volo? L’idea s’infrange però contro la burocrazia. Quando l’aereo è territorio dello Stato della compagnia. Lo Stato è in area Schengen. Nonostante questo per far partire l’intercetta­zione bisogna fare una rogatoria internazio­nale, che resterà senza risposta.

C’È POI UN DATOche sconcerta. Perché se le compagnie aeree non hanno database importanti, quelle telefonich­e, addirittur­a, nel fine settimana risultano irreperibi­li. “Mettiamo – spiega la fonte dell’intel- ligence – che un attentato avvenga il sabato sera nell’ora della movidanott­urna. Cinque minuti dopo, ma anche meno, io ho bisogno di attivare una serie di intercetta­zioni. Per farlo ho l’ok del pm. Chiamo la compagnia telefonica e non risponde nessuno”. Impression­ante. Detto poi che anche nel settore della telefonia mobile i dati non restano per sempre: “In Italia il limite massimo è di due anni, ma per noi bisognereb­be portarlo a cinque, così avremmo la possibilit­à di rico- struire la storia di un presunto terrorista. In Austria, ad esempio, i dati vengono cancellati dopo solo sei mesi”. Dagli aerei ai telefoni e al territorio. Anche qui il controllo è sempre più un rischio, anche per carenze degli organici. “Spesso nei comandi di provincia al centralino c’è una sola persona, difficile possa fare tutto”.

SE AD ESEMPIO una pattuglia ferma un sospetto con la fiche S, capita che debba aspettare in strada anche due ore per avere i riscontri. “Dall’altro lato una sola persona al centralino non può annotare tutto e quindi c’è il rischio che un alert concreto possa sfuggire”. Vi è poi il capitolo perquisizi­oni. L’articolo 41 Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) permette l’azione d’iniziativa delle forze di polizia se si pensa che in una casa ci siano armi. Spesso avviene anche senza il sospetto di armi. “È un metodo molto usato molto nel Sud Italia, al Nord invece moltissime Procure tendono a ostacolare questo strumento”. Ultimo elemento sono gli internet point. “Si accede senza dover dare un documento”. Insomma, le lacune sono tante e vanno sanate in fretta. Il terrorismo non aspetta.

La sottovalut­azione Dall’inizio del 2017 su Youssef Zaghba era stato tolto ogni allarme specifico

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Ansa Terminal L’aeroporto Jfk di New York
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