“Soldi a Nerone, mentre il Valle resta chiuso”
Il kolossal fa flop. Proietti: “Un brogliaccio che girava invano da 30 anni”
Tantomeno avrebbe mai potuto sospettare il produttore – che per tutto lo spropositato evento ha speso di tasca sua e del suo socio Jacopo Capanna soltanto 60 mila euro, facendosi finanziare 1 milione 50 mila euro dalla Regione ( attraverso Lazio Innova, socia di Divo Nerone Ventures, creata per il musical da Casella e Capanna) – che uno dei suddetti Oscar, Luis Bacalov avrebbe smentito la sua “cosciente partecipazione” all’opera. Gli avrebbero chiesto solo una musica, lui l’ha scritta, ma, a detta sua, non aveva idea che sarebbe finita lì. Dove, comunque, ha fatto la figura migliore visto il resto della piece. A conferma, il teatro mezzo vuoto, con il 30 per cento dei biglietti venduti. E su Ticketone ancora quasi tutti disponibili fino a settembre. Un flop colossale che va oltre la soglia dell’“ottimo risultato” previsto dagli organizzatori “non paganti”: il 50 per cento delle poltrone occupate.
“STIAMO VENDENDOgli ingressi nei circuiti dei tour operator”, aveva rassicurato Casella, sottolineando l’aspetto internazionale del “Divo Nerone”, un’operazione turistica, più che un’occasione per il teatro e la città. Una cinesata che neanche i cinesi hanno gradito: venerdì alla versione inglese (partita in italiano) le poltrone della platea Senatori hanno accolto chi aveva pagato il biglietto per la tribuna Colosseo (49 euro per stare in un posto da 198). Ad accendere l’ultima miccia sotto al carbonizzato Ne- rone, ieri su Repubblica persino Corrado Augias, che ha ricordato come lui stesso si fosse dovuto vergognare, quando, anni fa, allestì “Processo a Giulio Cesare” ai Fori di Traiano. Scrive Augias che nonostante “lo spettacolo andò in scena con ottimo esito, scene leggere e esemplare comportamento di tutti, qualche giorno dopo uno dei responsabili fece notare sull’antico lastricato delle rotture sui marmi”. Almeno in quel caso era stato un successo. Non questo, snobbato anche dai vip che, all’anteprima, per metà sono scappati prima del finale. Uno spettacolo costruito come un kolossal, ma senza testo, a dispetto di quanto annunciato da Ernesto Migliacci, che aveva parlato di “riscrittura in chiave moderna”.
Con gli attori- cantanti abbandonati ai venti metri di scena male illuminata (per mettere in piedi quel parco luci che si è costruita la tettoia orrenda).
U N’ACCOZZ AG LI A di professionisti chiamati solo per il nome. Eppure la gestazione dell’idea è stata lunga. Gigi Proietti racconta di aver letto un testo di un Nero- ne-opera rock di Migliacci trent’anni fa. “Ma era una cosa in fieri, un po’nebulosa, non se ne fece più niente”, racconta l’attore al Fa t to . “Non so se si tratti dello stesso testo e non posso giudicare come sia riuscito questo, perché non l’ho visto”, spiega Proietti, che si domanda però “come sia possibile che si trovino tanti soldi per l’Eliseo o per Nerone, ma non per riaprire il Valle. È un mistero. Direi che bisogna fare un’assemblea per parlare di cosa vogliamo fare con il teatro a Roma, per non creare queste dispersioni, di soldi e di idee”, conclude Proietti. E sull’idea di un Nerone innovativo adatto a questi nostri tempi, Proietti sbotta: “Nerone si attaglia bene a tutte le epoche. Quello di Petrolini venne visto come una parodia di Mussolini”.