È ufficiale: no=sì
Per capire come si è ridotto il Pd, basterebbero nell’ordine: questi quattro anni di inciuci e di leggi-vergogna; le aperture di Renzi un giorno a B. e l’indomani a Pisapia; le supercazzole su Prodi, ieri simbolo delle mega-coalizioni “da Turigliatto a Mastella” da evitare come la peste bubbonica e oggi modello da imitare e “collante del nuovo Ulivo”; i tentativi di licenziare il testimone Luigi Marroni ( unico protagonista del caso Consip non indagato) per salvare le chiappe agli indagati Lotti, babbo Tiziano, Del Sette e Saltalamacchia & C.; e gli incredibili silenzi sulle bugie al Parlamento della sottosegretaria Boschi sulle sue interferenze nel caso di Banca Etruria vicepresieduta da papà Pier Luigi. Ma, casomai tutto ciò non bastasse, c’è un fatterello illuminante, accaduto a Roma e rivelato dalla cronaca cittadina del Messaggero. Riguarda il nuovo stadio della Roma, anzi del costruttore Luca Parnasi e del presidente James Pallotta, che sorgerà a Tor di Valle. Chi l’ha deciso? Le giunte Marino e Zingaretti tre anni fa, accordo suggellato il 22 dicembre 2014 dal voto del Consiglio comunale di Roma sulla famosa delibera di “pubblico interesse”, approvata dal Pd e dalle cosiddette opposizioni di centrodestra, col voto contrario dei 5Stelle. Il progetto prevede un ecomostro con tre grattacieli (le famigerate torri) e 15 edifici più bassi, dominato da edilizia residenziale e commerciale, su 1 milione di metri quadri di terreni di proprietà del costruttore Parnasi.
Poi Marino viene defenestrato dagli amici del suo partito e un anno fa si va alle elezioni anticipate: il candidato Pd Roberto Giachetti si dichiara favorevole “a qualunque iniziativa privata che porti a Roma miglioramenti infrastrutturali, che sia della Roma, della Lazio, della Fiorentina o della Juventu s”; invece la M5S Virginia Raggi, che stravincerà, dice: “Sì allo stadio, no alle speculazioni”. È anche la posizione del suo assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, che rilascia interviste tonitruanti contro gli aspetti speculativi dell’opera, ma poi in conferenza dei servizi fa poco o nulla per modificare il progetto. A fine febbraio la conferenza sta per scadere e si rischiano penali milionarie. Grillo piomba a Roma e gioca la parte del poliziotto cattivo: “Lo stadio si fa da un’altra parte o non si fa più”. La Roma, spaventata, abbassa le pretese. La Raggi si fa forza di un vincolo della Soprintendenza sulla tribuna dell’ippodromo di Tor di Valle (quella immortalata dal film Febbre da cavallo) e di un parere dell’Avvocatura comunale sulla possibilità di revocare la delibera Marino.