Verdini, sentenza-ritratto: “In Ccf spregio delle regole”
Le motivazioni dei giudici che gli hanno inflitto 9 anni per bancarotta e truffa: i fondi a Dell’Utri, all’amico Fusi e al “Giornale della Toscana”
Una
gestione “imprudente quanto ambiziosa” quella del Credito Cooperativo Fiorentino da parte del suo ultimo presidente, che l'ha guidato per ben 20 anni: Denis Verdini. Il Tribunale di Firenze ha depositato le motivazioni della sentenza che lo scorso marzo ha condannato il senatore di Ala, insieme ad altri, a complessivi nove anni, sette per la bancarotta dell'istituto e due per la truffa ai danni dello Stato in merito ai finanziamenti ricevuti dal fondo dell'editoria alla società Ste ( Il Giornale della Toscana)..
Il collegio giudicante presieduto da Mario Profeta ha depositato una motivazione di 700 pagine che ricostruisce l'intera vita del Ccf sotto la guida verdiniana, passando per i fondi elargiti a Marcello Dell'Utri, alla rivalutazione dei cre- diti tentata attraverso il Mps dell'era Giuseppe Mussari, dalle società di imprenditori amici come il gruppo Fusi Bartolomei ai favori ad altri politici e conoscenti. Venti anni nei quali, secondo i giudici, Verdini ha gestito la banca con la consapevolezza “di un imminente disastro, ormai inevitabile e reso palese dall'ispezione di Banca d'Italia del 2010”. Una gestione, quindi, avvenuta nella “indifferenza verso la vigilanza” e con “spregio delle regole”.
Nulla di nuovo per Verdini né per gli altri oltre venti condannati. Il senatore guarda già all'appello, assistito dai suoi legali, Franco Coppi ed Ester Molinaro. Il magistrato Luca Turco, nel corso della requisitoria, aveva formulato una richiesta di 11 anni di reclusione per Verdini, 9 per Fusi, 6 per il parlamentare Massimo Parisi. Ma il giudice non ha pienamente accolto la pro- posta dell'accusa, sostenuta anche da Giuseppina Mione, che aveva indicato nel senatore il “dominus” unico di tutte le azioni illecite relative al Ccf.
VERDINI si è sempre difeso sostenendo che più di lui, sulle sorti del Ccf, hanno influito gli ispettori di Banca d'Italia e i repentini aumenti di svalutazioni, ricordando – più volte – che “nessun cliente o correntista ha mai perso un euro”. Anzi, per quanto riguarda la posizione del costruttore Fusi, Verdini ha più volte sostenuto – dati alla mano – che il gruppo dell'imprenditore ha fatto guadagnare alla banca milioni di euro, restituendo tutto fino all'ultimo centesimo. Per i giudici, però, questi come altri punti difensivi, sono stati ritenuti “toni polemici” da parte del senatore. Scrivono infatti i giudici nelle motivazioni che Verdini “ha rivendicato con orgoglio e tenacia la correttezza della sua gestione, sostenen-
La gestione “Imprudente quanto ambiziosa”, “indifferente alla vigilanza di Bankitalia”
do che al più vi saranno stati degli errori”, contestando l’operato dei commissari “ed esponendo alcune severe critiche al lavoro degli ispettori di Banca d’Italia”. I giudici, concludono di non aver apprezzato “i toni polemici”.
Ieri, raggiunto telefonicamente dal Fatto, Verdini ha preferito non commentare la sentenza, cosa che del resto non ha mai fatto, né in questo né negli altri quattro procedimenti che lo coinvolgono. Chiuso nella nuova sede di Ala a Roma, ha però ribadito ad alcuni dei suoi che confida di poter arrivare presto in appello e ha confidato di essere convinto di una possibile assoluzione.