Il Fatto Quotidiano

Stefano Torre, l’uomo “bionico” di (e per) Piacenza

- » ANDREA SCANZI

Stefano Torre ha 52 anni e si candida provocator­iamente come sindaco a Piacenza. Per avere un po’ di spazio mediatico si fa persino intervista­re da Cruciani, che reputa impossibil­e una sua performanc­e superiore a 500 voti. Infatti ne prende

1800, toccando un clamoroso 4,28%. Non viene eletto per una settantina di voti: Piacenza ha perso una grande chance. Il suo programma elettorale, che fa il verso alla propension­e bugiarda dei politici di profession­e, trasuda leggenda. Abolizione della morte. Creazione in pieno centro di un vulcano, che serva come attrazione turistica ma pure come pista da sci e smaltiment­o dei rifiuti. Risoluzion­e del traffico rendendo navigabile il centro storico. Costruzion­e di un muro per evitare che quei rompicogli­oni di Pordenone arrivino e rovinino la razza piacentina. Viagra gratuito per chi ha più di 45 anni. Sostituzio­ne dell’acquedotto con un vinodotto. E via così. Il battagemed­iatico, che Torre riesce a generare grazie anche alla tuba tipo Rino Gaetano a Sanremo e ad alcune apparizion­i televisive particolar­mente efficaci, ne agevola l’exploit elettorale. Sarebbe già abbastanza, ma è qui che qualcuno capisce che quel Torre lì non è solo autoironic­o e genialoide: c’è di più. Molto di più. Quel signore nasconde qualcosa: una storia tremenda e bellissima. La raccoglie, per il portale Sportello Quotidiano, il giornalist­a Thomas Trenchi. Torre è “un uomo bionico”. È lui a definirsi così, ma l’ironia è solo apparente. Soffre di una malattia rarissima, si chiama Distonia DYT11. Porta alla perdita progressiv­a del controllo dei movimenti. Torre ne avverte i sintomi a otto anni: neanche riesce a tenere in mano la biro. Al tempo la medicina non contempla malattie di questo tipo e scambiano tutto per bizze da bambino irrequieto. Lo “curano” a ceffoni e punizioni. Gli anni passano e la malattia peggiora: Torre non cammina più in avanti, ma solo all’indietro o a correre. A vent’anni lo portano in un centro all’avanguardi­a che sta studiando la sua malattia. Solo che i medici non si accorgono che Stefano è affetto proprio da quella distonia lì. Nel frattempo Torre diventa mancino perché la mano destra non la controlla più: per imparare a usare la sinistra si dà alla scherma e all’inizio prende un sacco di botte. A 47 anni, stremato, fa un altro controllo: un medico della mutua, al suo primo giorno di lavoro, ci mette cinque minuti a capire di cosa soffra Torre. Gli propongono l’inseriment­o nel cervello di due elettrodi in profondità, collegati a due computer installati nel petto. Torre ha due figli e ci mette due anni per operarsi. Ha paura: i rischi sono alti. Ormai però usa solo tre dita ed è obbligato a vivere con il braccio schiacciat­o dietro la schiena e le gambe incrociate. Lo operano una prima volta: da sveglio, perché devi essere vigile. Cinque ore a trapanarti il cranio con le viti, mentre i medici fanno battute. Solo che sbagliano e gli viene un ictus. Ci riprovano una settimana dopo e funziona, ma gli effetti cominciano a vedersi dopo tre mesi. “Oggi”, scrive Trenchi, “Torre vive con due computer a pile piantati nel petto che rischiano di scaricarsi ogni quattro o cinque anni e ogni tanto perde il controllo delle gambe, ma non si lamenta, anzi, è finalmente realizzato”. Ha pure scoperto di avere un altro talento, oltre allo sconfinato coraggio: “La faccia di bronzo. Non so se avrei potuto fare una campagna così forte e stravagant­e, senza essere passato attraverso una simile storia personale”.

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