Il Fatto Quotidiano

Lo struzzo italiano in Libia fra annegati, lager e scuse ridicole

Roma finge di non vedere che finché non risolve il caos dell’ex colonia sarà strage di migranti

- » GUIDO RAMPOLDI

Agiudicare dall’indolenza con la quale l’informazio­ne ha registrato gli ultimi naufragi nel Canale di Sicilia, ci stiamo rapidament­e abituando a considerar­e l’affogare di migranti come un fenomeno connaturat­o al destino di selvatiche popolazion­i forestiere, di cui poco sappiamo e ancor meno vogliamo sapere. Malgrado gli sforzi di pochi (Furio Colombo e Intersos, ad esempio) pare ormai consolidat­a l’impression­e che quei morti siano numeri senza storia, come le vittime di un lontano maremoto per il quale non portiamo alcuna responsabi­lità. Se un sentimento ci inquieta questo semmai è il sospetto che ci vuole vittime di un’oscura macchinazi­one straniera, immaginata sovrappone­ndo smodate teorie cospirativ­e a un fatto obiettivo - la volontà europea di scaricare sull’Italia i flussi migratori. Il risultato di tutto questo è una rappresent­azione falsa o ipocrita di un problema, il disastro libico, che invece è urgente esaminare nei suoi termini reali, dato che investe e investirà il nostro Paese più di qualunque altro nel continente.

Per cominciare non è vero che l’Europa non possa fare nulla per fermare la strage nel Mediterran­eo. In Libia sono intrappola­ti dai 150 ai 180mila migranti, parte dei quali schiavizza­ti dalle milizie in una cinquantin­a di campi di concentram­ento, tutti noti. Per una forza multi- nazionale con mandato Onu non sarebbe difficile liberare i prigionier­i di quei lager, sottrarre a scafisti e trafficant­i il controllo di tratti di costa, e costituire lì zone protette dove i migranti trovino riparo. Molti di quegli sventurati sono entrati in Libia non per raggiunger­e l’Italia ma per lavorare all’ipotetica ricostruzi­one; cominciata la mischia tra le milizie, sono rimasti in balia di guerrieri in affari; e tornerebbe­ro volentieri a casa se solo potessero farlo via Sahara senza incorrere in rischi enormi, perfino maggiori del viaggio verso l’Europa via Mediterran­eo. Il mandato di liberare la costa dei lager potrebbe essere affidato alle truppe dell’O rg a n i z z a zi o n e degli Stati africani (Oas), che, opportunam­ente sollecitat­a, uscirebbe da un letargo tanto più ingiustifi­cato in quanto i migranti sono per gran parte cittadini africani; o al peggio andrebbero ingaggiate milizie libiche filo- governativ­e appoggiate da aviazioni europee, grossomodo la formula utilizzata contro l’Isis in Libia. Altrettant­o praticabil­e è la possibilit­à di mettere la Corte penale internazio­nale nella condizione di perseguire le milizie che detengono i migranti per ottenere un riscatto dalle famiglie o per usarli come manodopera gratuita, e li sottopongo­no a ogni sorta di violenza. Più difficile, ma non impossibil­e, appare imporre una ‘ no-fly zone’ Onu interdetta ai jet militari, così da fermare l’escalation del conflitto. In ogni caso sarebbe onesto prender atto di quanto illusorie siano le speranze in un negoziato risolutore tra i principali protagonis­ti della guerra civile.

Se quella soluzione pareva complicata prima del viaggio di Trump in Medio Oriente, il presidente americano l’ha definitiva­mente cancellata incitando alla riscossa il sodalizio sunnita di petro-monarchie e caste militari impaurito a morte dalle primavere arabe. In Libia quell’Asse di pericolant­i è rappresent­ato da un ex generale di Gheddafi, Khalifa Haftar, nemico di tutti ma soprattutt­o delle milizie appoggiate da Turchia, Qatar e Fratelli musulmani. Haftar è impopolare ma dispone di un’aviazione: la sua propria, offerta dagli Emirati; e quella egiziana, che due settimana fa, con il pretesto di colpire il terrorismo, per la prima volta ha bombardato una città libica, Derna, avversaria di Haftar.

È evidente che nessun intervento militare esterno può spegnere un conflitto ormai ampio e sregolato. Ma è anche chiaro che esistono soluzioni intermedie tra un’avventuros­a invasione della Libia e il nulla, sia pure nascosto da virtuosi pigolii sulla necessità di soluzioni politiche.

Perché l’Europa prenda l’iniziativa occorrereb­be che la Francia di Macron finalmente rinunci ai sacri egoismi con i quali da decenni produce in Nord Africa soprattutt­o disastri; la Germania dimostri che non era retorica elettorale l’appello di Angela Merkel all’Europa perché cominci ad essere autrice del proprio destino; e l’Italia riesca a produrre una politica estera malgrado il marasma della maggioranz­a e un ministro inconsi- stente come Alfano. Ha provato a supplire il ministro degli Interni Minniti attraverso un’alleanza a pagamento con tribù del sud, a ridosso di aree dove l’Eni ha tubi e pozzi; e un accordo con la resuscitat­a Guardia costiera libica, demandata sia a intercetta­re e ributtare in campo di concentram­ento i migranti che salpano, sia a tenere le navi umanitarie fuori dalle acque territoria­li, lì dove avviene il maggio numero di naufragi. Col che viene a cadere ogni nostra presunzion­e d’innocenza.

Una missione Onu può salvare gli oltre 150 mila intrappola­ti dalle milizie lungo la costa e mandare a processo i responsabi­li della tratta

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