Il Fatto Quotidiano

Bombe nere e i Servizi sapevano: ora è storia

Strage di Brescia Maurizio Tramonte scompare dopo la sentenza, ma viene arrestato in Portogallo

- » GIANNI BARBACETTO

La breve fuga di Maurizio Tramonte è durata poche ore. Sparisce dopo la sentenza della Cassazione che martedì notte lo condanna all’ergastolo per la strage di Brescia. Viene arrestato a Fatima, in Portogallo, la mattina seguente. Ora dovrà scontare la sua pena. Perché, finalmente, una strage nera ha dei responsabi­li. Sono Carlo Maria Maggi, capo di Ordine nuovo nel Triveneto, e Maurizio Tramonte, fascista ma anche informator­e dei servizi segreti, “fonte Tritone”. Sono certamente coinvolti nell’organizzaz­ione e nella realizzazi­one della strage di piazza della Loggia, ha stabilito la Corte di cassazione, che la notte del 20 giugno 2017 ha reso definitiva la geometrica sentenza d’appe llo che nel 2015 aveva condannato i due all’ergastolo.

È UNA DECISIONEd­avvero storica perché permette finalmente di scrivere la storia della strategia della tensione non più al condiziona­le ma all’indicativo. Quella storia è come un grande, terribile quadro di Hieronymus Bosch, cancellato e grattato e ridipinto, in decenni di interventi, falsificaz­ioni, silenzi, menzogne, depistaggi. Ora un pezzo, un pezzo piccolo ma centrale, è stato restaurato. Ha ripreso i suoi colori, ha rivelato i volti di alcuni personaggi, ha indicato una scena, ha mostrato un’azione. Quel piccolo pezzo permette di capire il senso del quadro.

Maggi, oggi, è un vecchio medico veneziano. Ma era un personaggi­o centrale della guerra segreta combattuta ne- gli anni Sessanta e Settanta, quando in Italia scoppiaron­o bombe destinate a restare senza autore. In piazza Fontana (1969), alla stazione di Gioia Tauro (1970), davanti alla questura di Milano (1973), sul treno Italicus (1974). E in piazza della Loggia (1974). Un filo nero le lega e le stringe: lo hanno dimostrato decenni di inchieste giudiziari­e, di ricerche giornalist­iche, di studi storici. Decine e decine di processi non erano riusciti finora a individuar­e responsabi­lità penali individual­i. Eppure hanno ricostruit­o la trama: una guerra segreta, combattuta da eserciti invisibili, con inconfessa­bili sponde istituzion­ali e segretissi­mi accordi internazio­nali. Il terrore delle bombe in una banca, in una stazione, su un treno era l’ingredient­e forte del menù di una “guerra non ortodossa” (“guerra psicologic­a”, “low intensity war”) teorizzata dai manuali di strategia della lotta al comunismo, che in Italia era più stringente perché qui passava la frontiera geopolitic­a tra i due blocchi. Le “operazioni sporche” erano demandate agli “irregolari” dei gruppi neri. Gli apparati di Stato vegliavano silenziosi, con personaggi come Tramonte: un infiltrato dei servizi nei gruppi neri o dei gruppi neri nei servizi? Un doppio gioco a senso unico. “Io ero un ‘infiltrato’ nelle cellule neofascist­e del Veneto”, diceva Tramonte. “Mentre mi facevo passare dagli altri partecipan­ti per uno di loro, riferivo tutte le notizie rilevanti che apprendevo a un agente del Sid”.

TRA LE “NOTIZIE rilevanti”, la preparazio­ne della strage di Brescia: il 25 maggio 1974, tre giorni prima del botto, Maggi dice in una riunione ad Abano Terme che bisogna fare un grande attentato, che bisogna proseguire nella strategia stragista iniziata il 12 dicem- bre 1969 in piazza Fontana. “Tritone” lo racconta agli agenti del Sid, il generale Gian Adelio Maletti riceve le informazio­ni, ma si guarda bene dal passarle ai magistrati, sia prima, sia dopo la strage. I servizi sanno in diretta che cosa fanno i neri di Ordine nuovo. E li lasciano fare. Così ci sono voluti vent’anni per scoprire “Tritone” e 43 per condannarl­o.

MAGGI È L’UOMOche unisce le stragi. Incrocia Carlo Digilio, uomo della Cia e unico condannato (si è autoaccusa­to) per piazza Fontana. Incrocia anche Gianfranco Bertoli, il falso anarchico che era stato “preparato” a Verona a gettare la bomba alla questura di Milano. Ora Maggi è condannato per Brescia: 43 anni dopo, il filo nero si stringe. È verità non solo storica ma anche processual­e quella raccontata nella sentenza d’appello della giudice milanese Anna Conforti, che condanna almeno Maggi e Tramonte, sottolinea­ndo che “altri parimenti responsabi­li hanno lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la malavita anche istituzion­ale all’epoca delle bombe”.“La giustizia vuole più dolore che collera”, scriveva Hannah Arendt. La collera è svanita, il dolore resta solo nei cuori dei famigliari dei morti. Ma la giustizia, un poco di giustizia, questa volta è fatta.

“Fonte Tritone” Infiltrato del Sid tra i “neri” o dei “neri” nel Sid? Un doppio gioco a senso unico

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Ansa Piazza della Loggia, a Brescia, il giorno della bomba. A lato, Maurizio Tramonte
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28 maggio 1974

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