L’ITALIA E LA CRIMINALITÀ DEI POTENTI
Complicità, deviazioni, depistaggi e reticenze dal cuore dello Stato ai tribunali
Gli
“Anni Settanta”(si legge nel bel libro di Giovanni Moro) sono caratterizzati dalla compresenza di elementi assai diversi: “Bombe e riforme, violenza e partecipazione popolare, terrorismo e pratiche democratiche diffuse, contorcimenti della vita politica e chiare prese di posizione degli elettori”. Una realtà di “tante speranze e tante tempeste”.
In quel periodo la violenza è stata il “pane quotidiano della vita pubblica”. Con un numero complessivo di morti (più di 600) e di feriti (almeno 3000) che non impressionano più. Perché rimossi da una perdita di memoria che sconfina nell’amnesia. Una patologia tutta italiana. La violenza aveva “declinazioni” molto diverse. Quella definita “politica” (forse per sminuirne la portata a fronte delle tante facce note o album di famiglia che la popolavano), nonostante che di “politico” ben poco avesse l’impiego sistematico di spranghe, chiavi inglesi, molotov e P38.
Poi il terrorismo, prevalentemente “di sinistra” ma non solo, che colpiva in modo mirato, spesso uccidendo o gambizzando, persone “selezionate” perché “nemiche”, in quanto considerate reazionarie o riformiste. Infine lo stragismo fascista , che usava le bombe in luoghi affollati (banche, piaz- ze, treni, stazioni) per colpire “nel mucchio”, in maniera indiscriminata, più persone. Tre violenze con moventi, obiettivi e tattiche stellarmente distanti, salvo che per l’incompatibilità con l’ordine democratico: da ribaltare per sostituirvi un regime diverso; oppure da snaturare con l’imposizione di una inamovibilità assoluta.
Una peculiarità dei processi per strage è la torbida “costante” di riscontrate complicità, deviazioni, depistaggi, reticenze. Pesanti ostacoli, per cui – anche quando vi sono stati risultati apprezzabili – i processi non sono riusciti a raggiun- gere quelle che potrebbero essere state le più gravi responsabilità.
In queste ore la Cassazione, dopo un iter tormentassimo di 11 processi e vari filoni, ha definito la vicenda giudiziaria riguardante la strage di piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974: 8 persone uccise e 102 ferite). Il pg Alfredo Viola, nel chiedere la condanna degli imputati Maggi e Tramonte, ambedue di “Ordine nuovo”, aveva definito il processo “complesso ma non impossibile”, ancorché “indiziario”. La Corte ha accolto le sue richieste e ha inflitto due ergastoli (sancendo così la matrice fascista della strage). Gli indizi sono dunque gravi, precisi e concordanti, cioè persuasivi oltre o- gni possibile obiezione, non suscettibili di diverse interpretazioni, plurimi e convergenti nella medesima direzione.
Per “rimuovere gli effetti” di “indagini errate o volutamente errate” – ha sottolineato il pg – “ci sono voluti anni”. Si conferma la torbida “c ostante” dei processi di strage. Che evoca – per le stragi come per la mafia – la “criminalità dei potenti”. Una storia di collusioni e trame occulte (perciò più difficili da decifrare) con cui alcuni segmenti della classe dirigente hanno cercato di deviare la gestione del potere. Manovrando come macabre pedine “manovali” da impiegare per i Servizi più biecamente criminali.