Il Fatto Quotidiano

Daniel Day-Lewis, il migliore anche nel saper dire basta

- » FEDERICO PONTIGGIA

Fa clamore il suo ritiro, eppure ci aveva già abituati. Cinque anni tra The Boxer, regia di Jim Sheridan ( 1997), e Gangs of New York, regia di Martin Scorsese ( 2002), e nel mentre lavora da ciabattino a Firenze. Cinque anni tra Lincoln, regia di Steven Spielberg ( 2012), e quello che ha annunciato sarà il suo ultimo film, per la regia di Paul Thomas Anderson, in uscita il prossimo Natale negli Usa.

A MOZZICHI e bocconi, in quegli intervalli dilatati tra un film e l’altro, Daniel Day-Lewis ci aveva preparato a fare a meno di lui. A 60 anni appena compiuti, il 29 aprile scorso, l’attore britannico fa quello che nessun coetaneo fuori e dentro il set ha l’agio, le palle o anche solo il buongusto di fare: mollare, all’apice del successo, della bravura, all’apogeo di tutto.

Mollare a 60 anni, da 100 km/h a 0 in un nanosecond­o, la più repentina delle decrescite felici. Lui può. Del resto, dovessimo pensare all’attore che non deve chiedere mai, Daniel Day-Lewis sarebbe quell’attore: sa scegliere, sa attendere, sa recitare, incarnare, incantare.

Anche le statuette gli danno ragione: è l’unico ad aver vinto tre Academy Awards da protagonis­ta. 2013, 2008 e 1990, tre Oscar per Lincoln, Il petroliere - There Will Be Blooddi Paul Thomas Anderson e Il mio piede sinistro di Sheridan. Altre due nomination le ha avute per Gangs of New York e Nel nome del pad re . Un campione. Come cantava Mina, L’importante è finire, e lui non si sottrae: la notizia, anticipata dal Daily Variety, è breaking per davvero, “Daniel Day-Lewis non reciterà più”. Conferma il portavoce Leslee Dart: “Non lavorerà più come attore. È immensamen­te grato a tutti i suoi collaborat­ori e spettatori negli anni. Si tratta di una decisione privata e né lui né i suoi rappresent­anti faranno ulteriori commenti al riguardo”. L’annuncio tra cinefili, fan e addetti ai lavori fa più orfani che Charles Dickens: come è possibile, anzi, più fedelmente, “come cazzo è possibile?”.

C’è da capirli, in fondo: immaginate, non per parità anagrafica ma di stato di forma, Robert De Niro lasciare dopo Heat – La sfida nel 1995 (aveva 52 anni…) oppure Al Pacino mollare, sempre per la regia di Michael Mann, dopo Insider – Dietro la verità alla vigilia dei 60 anni. Loro hanno continuato, ma “bontà loro” soprattutt­o nel caso di De Niro ti si strozza in gola: già, l’importante è finire, saper finire.

Day- Lewis annuncia di non aspettarlo, di non confidare che da qui a cinque anni tornerà, perché il copione l’ha appeso al chiodo e lì rimarrà. C’è chi se ne va senza dirlo, si pensi a Gene Hackman o Sean Connery, e chi dice di andarsene e poi però, nostalgia canaglia, ritorna: Steven Soderbergh, che va e viene a ripetizion­e; Jack Nicholson, che dopo lungo digiuno ha in cantiere la versione americana di Toni Erdmann; Ken Loach, tornato e premiato – a Cannes l’anno scorso – con Io, Daniel Blake. Siamo pronti a scommetter­e, Daniel Day-Lewis dopo non essersi apparentat­o ai primi sconfesser­à anche i secondi: nessuna inversione a U.

Gli altri hanno la coazione a ripetere, lui quella a non smentirsi. A tacco, punta e tomaia quindici anni fa lo sot- trasse Scorsese, nell’attesa dell’ultimo assolo oggi tocca consolarsi in home video: musical(e) in Nine, in costume nell’Età dell’innocenza, epico nell’Ultimo dei mohicani, in carrozzell­a per Il mio piede sinistro, kunderiano – ad hoc imparò il ceco… – ne L’insostenib­ile leggerezza dell’essere, in venti prove disseminat­e in 35 anni di carriera ha saputo garantire l’imbarazzo della scelta agli spettatori e l’imbarazzo del paragone ai colleghi.

LA VENTESIMA ricostitui­sce la coppia del P et ro li e re : sotto l’occhio di Anderson, Day-Lewis interpreta uno stilista di grido, prediletto dai reali e dall’alta società londinese degli Anni Cinquanta. Sceneggiat­ura dello stesso Anderson, Phantom Thread potrebbe assicurarg­li il quarto Oscar, chissà.

Attualment­e in post-produzione, dovremmo ritrovarlo in un festival autunnale: nel caso, il BFI London Film Festival, dal 4 al 15 ottobre, è la meta più probabile.

E dopo Phantom Thread? Vivremo un’assenza presente, quella del migliore di tutti loro: Daniel Day-Lewis, l’attore che seppe smettere. Per farsi leggenda.

I ritorni

Non è il solo a dire addio. Prima di lui Nicholson e Loach, che però ci hanno ripensato

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Ansa Su Twitter Daniel DayLewis ha affidato ai social la notizia del ritiro
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