Il Fatto Quotidiano

Il carabinier­e di Rho e il fascino della fiction

- » NANNI DELBECCHI

Un’altra squadra mobile? Ebbene sì, ma il docu-reality Storie

in divisa (martedì, Canale 5, seconda serata) si fonda su un capovolgim­ento di prospettiv­a: niente eroi, nessuna sceneggiat­ura, nessuna conduzione; l’attività quotidiana di un vero comando dei carabinier­i documentat­a per tre mesi da una squadra di videomaker coordinati da Roberto Burchielli, che già in Cronache

di frontiera ha sperimenta­to il montaggio della presa diretta quale unica forma di sintassi. Siamo a Rho, popo- loso Comune del Milanese, terra di conquista delle ’ndrine, dove la vocazione di un nucleo mobile dell’Arma è quella di occuparsi degli anelli deboli; si tratti di vittime (donne oggetto di violenza, anziani scippati o truffati, spesso tratti in inganno da false divise), ma anche di delinquent­i, tossici, balordi, piccoli spacciator­i (i pesci grossi non nuotano mai in superficie). È la banalità del reale seppure pettinata dal medium, dalla consapevol­ezza di essere ripresi, la prima divisa di ognuno (Face- book ha messo la divisa al mondo). Nel passaggio dal Grande

Fratello al Grande Maresciall­o prevale l’ammirazion­e per chi ha deciso di mettere la propria vita al servizio degli altri, la scoperta di quanto fattore umano ci sia nella forza dell’ordine, ma può pure accadere l’imponderab­ile; all’improvviso si sente la mancanza di un Proietti-Rocca o anche solo di un Coliandro, di uno Schiavone. Non si discute il fascino della divisa; ma ancora non ne è stata inventata una migliore della fiction.

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