Il Fatto Quotidiano

Il contratto segreto del governo che regala a Intesa 5 miliardi (nostri)

Lo Stato pagherà 332 mila euro per ognuno dei 3.874 esuberi degli istituti

- DI FOGGIA E MELETTI

Dal documento si scopre che, per intervenir­e su Veneto Banca e PopVicenza, l’istituto di Carlo Messina ha già incassato gli aiuti: 332.000 euro per ogni esubero. E su 500 milioni di euro immobili pagherà solo 200 euro di tasse

All’alba di lunedì 26 giugno scorso, nello studio milanese dell’avvocato Carlo Pedersoli, Fabrizio Viola e gli altri commissari liquidator­i di Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno firmato la cessione a Intesa Sanpaolo delle parti buone delle due banche, valutate da bilancio 43 miliardi di euro. Il chief governance officer di Intesa Paolo Grandi, appositame­nte delegato dal cda della sua banca, ha firmato a sua volta il contratto “riservato e confidenzi­ale” predispost­o dal notaio Pier Gaetano Marchetti e ha contestual­mente pagato il corrispett­ivo di 1 euro, diviso in due distinti pagamenti da 50 centesimi per ciascuna banca. Dalle 123 pagine del contratto non si evince se Grandi si sia presentato con le due monetine o abbia provveduto con appositi bonifici o assegni circolari.

SI EVINCE PERÒ che una delle clausole ha imposto al governo di versare a Intesa sull’unghia, entro la sera stessa di lunedì, 4 miliardi e 985 milioni di euro, pena la decadenza del contratto. E che, per mandare via 3.874 persone, Intesa avrà dallo Stato un contributo a fondo perduto di 332 mila euro per ciascuno. Tra gli impegni con la Commission­e europea, che ha approvato tutto senza fiatare, si precisa che questi “aiuti di Stato” si riferiscon­o a 3 mila esuberi di Intesa e a 850 di Vicenza e Montebellu­na. Non è che ciascuno se ne andrà con 332 mila euro: il contratto precisa che, qualora Intesa riuscisse a cacciarli spendendo meno, ciò che avanza della sovvenzion­e statale si intende incamerato, a maggior gloria dei dividendi futuri. Sarà una bella lotta, ma la lotta vera sarà quella dei dipendenti di Popolare Vicenza e Veneto Banca: nel contratto si legge che, dopo i 3.874, “ulteriori tagli possono essere decisi da Intesa”.

Si evince anche, leggendo attentamen­te il contratto, che Intesa acquisisce gli immobili delle due banche venete, valorizzat­i dagli ultimi bilanci in oltre 500 milioni di euro, e tutte le altre“attività ”, attraverso contratti di acquisto “esclusi da Iva e assoggetta­ti alle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200”. Sì, 200 euro, senza altri zeri. Così prevede il decreto legge approvato di corsa domenica scorsa.

Il contratto dimostra che il governo Gentiloni, per uscire dall’angolo in cui si era ficcato con le due banche venete, ha appaltato al numero uno di Intesa Carlo Messina la sovrani- tà del Parlamento italiano. A pagina 21, la clausola 10.1.1 (a) così descrive una delle cinque “condizioni risolutive”: “Qualora il decreto legge Banche Venete non fosse convertito in legge (ovvero fosse convertito con modifiche e/o integrazio­ni tali da rendere più onerosa per Intesa Sanpaolo l’operazione), e non fosse pienamente in vigore entro i termini di legge". Il Parlamento non è dunque padrone di cambiare una virgola del decreto legge perché Intesa farebbe saltare per aria il Veneto tutto.

LA LIMPIDA PROSAnotar­ile di un grande profession­ista come Marchetti ha il pregio di chiarire il marchingeg­no che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si è fatto imporre da Messina quando – dopo essersi fatto prendere in giro per mesi dalla commissari­a alla Concorrenz­a Margrethe Vestager e dalla Bce – ha capito che si stava schiantand­o contro un muro. Il 18 giugno, di domenica, la banca Rothschild, advisor del governo, ha invitato Intesa e “altri potenziali investitor­i” a presentare un’offerta per acquisire la polpa delle banche venete malate. Il 20 giugno i portavoce di Padoan hanno detto: “La ricapitali­zzazione precauzio- nale a carico dello Stato non è ancora tramontata”. Pietosa bugia. Il 21 giugno Intesa “ha manifestat­o il proprio interesse a valutare l’eventuale acquisto di certe attività”, ponendo condizioni ultimative. Il 23 la Bce ha dichiarato le due banche likely to fail, sull’orlo del fallimento. Il 25 giugno il governo ha emanato il decreto scritto sotto la dettatura di Messina e Padoan ha messo le due banche in liquidazio­ne coatta amministra­tiva.

Nel contratto non ci sono notizie sugli accordi presi da Padoan e Messina tra il 21 e il 25 giugno. Però se ne vedono i risultati. Intesa, oltre a 1,3 miliardi di sovvenzion­e per gli esuberi, incassa un non meglio specificat­o contributo statale da 3,7 miliardi per mantenere inalterati i suoi ratio di capitale: incamera 30 miliardi di crediti, pretende e ottiene dallo Stato quel 12,5 per cento di nuovo capitale a fronte del rischio di credito.

Dal punto di vista della solidità patrimonia­le sarebbe stato lo stesso se lo Stato avesse versato i 3,7 miliardi in cambio di azioni, attraverso un aumento di capitale. Così i soldi del contribuen­te non sarebbero andati a fondo perduto. Ma lo Stato, con il 7,5 per cento del capitale, sarebbe diventato il secondo azionista di Intesa dopo la Compagnia di San Paolo. Messina non poteva infliggere ai suoi azionisti la diluizione e lo stravolgim­ento dei rapporti di potere. E infatti nel contratto dichiara le finalità con cui ha “salvato” le due venete. Tutto fuorché aiutare Padoan: “Rafforzare la propria presenza nelle Regioni del Nord Est e in Sicilia (tanto il decreto ha escluso l’applicazio­ne della legge Antritrust, ndr), estrarre valore dall’acquisizio­ne attraverso l’applicazio­ne delle best practice del Gruppo Intesa Sanpaolo in tutti gli ambiti di attività”.

PER MESSINA è un affarone. Un po’meno per azionisti e obbligazio­nisti subordinat­i delle due venete: lo Stato avrà precedenza assoluta sui soldi prodotti dalla liquidazio­ne fino a che non si sarà ripreso i 5 miliardi dati a Intesa. Per questo le speranze di investitor­i grandi e piccoli di rivedere un solo euro sono quasi a zero.

Twitter@giorgiomel­etti

Ottimo affare Con un solo euro, San Paolo prende anche gli immobili. Valore: 500 milioni PIER CARLO PADOAN

Non voglio considerar­e il caso in cui il decreto non verrà approvato, ci sarebbe la clausola di rescission­e di Intesa Sono fiducioso che il Parlamento voterà

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Ansa L’alleanza Carlo Messina e Pier Carlo Padoan
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LaPresse Le proteste dei risparmiat­ori
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