RENZI: IL FATTORE “A” COME ANTIPATIA
Una vittoria o una sconfitta alle elezioni può dipendere da molti fattori. Alcuni di questi sono diventati famosi e rimasti attaccati a chi li ha inventati o ai suoi principali protagonisti. Erano gli anni Settanta quando il giornalista Alberto Ronchey scrisse di “fattore K” per intendere il pericolo del komunismo che impediva il compiersi in Italia di una democrazia matura basata sulla possibilità di ricambio al governo. Qualche anno dopo in relazione a Silvio Berlusconi qualcuno parlò di “fattore B” per intendere la sua, per alcuni inspiegabile, capacità di interpretare l’umore profondo del Paese e sopravvivere a rovesci e sventure. Nel 2006 fu la volta del “Fattore C”, la buona stella che accompagnò i primi mesi del secondo governo Prodi, dal trend economico positivo alla vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio. K, Bo C che fosse, si trattava di fattori solo parzialmente utilizzabili all’interno di un’analisi storica o politologica, ma capaci di cogliere aspetti legati a tratti psicologici dell’elettorato e caratteriali dei leader.
GUARDANDO i risultati delle ultime tornate elettorali, parrebbe proprio che in Italia si stia materializzando un altro fattore: il “fattore A”, in relazione all’antipatia e all’avversione nei confronti del segretario del Pd Matteo Renzi. Il Pd sembra aver esaurito la capacità di sfondamento a destra che ha toccato il vertice alle europee del 2014 e sembra aver perso molti consensi fra gli elettori di sinistra che non si riconoscono nella sua linea. Il risultato è una diminuzione dei voti al partito. Ma il “fattore A” non si limita a questo. Il Pd sembra aver perso la capacità di attrarre consensi in una cerchia allargata di elettori, quelli che magari non lo votano al primo turno ma che al ballottaggio fra un candidato Pd e uno di centrodestra o del M5S sarebbe naturale che convergessero sul primo. Le analisi elettorali dimostrano che è difficile che sul candidato del Pd convergano i voti di elettori che hanno votato 5Stelle o liste di sinistra. Cosa che non accade ai 5Stelle, che quando contrapposti a candidati del Pd imbarcano molti voti degli elettori di centrodestra, come insegnano le ammini- strative 2016 di Roma e Torino.
Ma anche i candidati di centrodestra in un ipotetico scontro con un candidato di centrosinistra appaiono più capaci di attrarre voti dagli elettori degli altri partiti, 5stelle in primis.
IL CENTRODESTRA – nonostante grosse differenze al suo interno – si sta ricompattando intorno a temi forti e identitari: l’immigrazione, la sicurezza, l’anti Europa, le banche. Mentre il Pd renziano paga una sfiducia politica e un’avversione ad personam nei bacini elettorali limitrofi.
Le ragioni di sviluppo del fattore A sono politiche ed emotive. Fra le prime provvedimenti come Jobs act, riforma della scuola, astensione al referendum contro le trivelle e, soprattutto, la proposta di riforma istituzionale respinta il 4 dicembre. Alle questioni di merito si aggiungono però elementi legati al carattere e ai toni della leadership renziana. L’irrisione e l’insofferenza nei confronti di persone che all’interno della sinistra e del partito esprimevano posizioni dissenzienti ( Fassina chi?, ciaone, i gufi, gli scissionisti, l’evo cazione del lanciafiamme quale strumento per dipanare i dissidi interni alla direzione). Nonché il deliberato tentativo di smantellare simboli, valori e tra- dizione della sinistra italiana (meglio Marchionne che 100 anni di sindacato). Tutto ciò, acuito dall’ipercomunicazione costante che accompagna l’azione politica di Renzi, ha portato al maturare di una antipatia con la quale Renzi, il Pd e la sinistra in generale farebbero bene a fare i conti.
Sarebbe sbagliato pensare che trattandosi di un sentimento, la questione abbia poco peso. Nella politica postmoderna, del consenso social a colpi di like, sparite le appartenenze, prosciugati i tradizionali bacini elettorali basati sulle storiche categorie sociodemografiche, l’aspetto emotivo ed emozionale hanno assunto un peso determinante. Cavalcare l’onda emotiva del momento gioca un ruolo di rilevo nei risultati dei partiti. Si pensi al successo dei 5Stelle del 2013. E l’empatia e la sintonia con gli elettori sono aspetti determinanti per il successo delle moderne leadership. In uno scenario quale quello italiano, con tre aree politiche quasi equivalenti in termini di consenso, ci si può permettere di sbagliare una mossa politica, ma non di essere guidati da un leader antipatico, divisivo.
RENZI È APPENA stato rieletto segretario del Pd con 2 milioni di voti. Ma per vincere le prossime elezioni politiche deve aggregare e un singolo partito, guidato da un leader antipatico, ha ben poche speranze di riuscirci. Le polemiche di questi giorni all’interno del Pd e del centrosinistra sembrano dimostrare che sono in molti oramai a fare i conti con il fattore A. Professore di Comunicazione Politica
all’Università Roma Tre