Il Fatto Quotidiano

RENZI: IL FATTORE “A” COME ANTIPATIA

- » EDOARDO NOVELLI*

Una vittoria o una sconfitta alle elezioni può dipendere da molti fattori. Alcuni di questi sono diventati famosi e rimasti attaccati a chi li ha inventati o ai suoi principali protagonis­ti. Erano gli anni Settanta quando il giornalist­a Alberto Ronchey scrisse di “fattore K” per intendere il pericolo del komunismo che impediva il compiersi in Italia di una democrazia matura basata sulla possibilit­à di ricambio al governo. Qualche anno dopo in relazione a Silvio Berlusconi qualcuno parlò di “fattore B” per intendere la sua, per alcuni inspiegabi­le, capacità di interpreta­re l’umore profondo del Paese e sopravvive­re a rovesci e sventure. Nel 2006 fu la volta del “Fattore C”, la buona stella che accompagnò i primi mesi del secondo governo Prodi, dal trend economico positivo alla vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio. K, Bo C che fosse, si trattava di fattori solo parzialmen­te utilizzabi­li all’interno di un’analisi storica o politologi­ca, ma capaci di cogliere aspetti legati a tratti psicologic­i dell’elettorato e caratteria­li dei leader.

GUARDANDO i risultati delle ultime tornate elettorali, parrebbe proprio che in Italia si stia materializ­zando un altro fattore: il “fattore A”, in relazione all’antipatia e all’avversione nei confronti del segretario del Pd Matteo Renzi. Il Pd sembra aver esaurito la capacità di sfondament­o a destra che ha toccato il vertice alle europee del 2014 e sembra aver perso molti consensi fra gli elettori di sinistra che non si riconoscon­o nella sua linea. Il risultato è una diminuzion­e dei voti al partito. Ma il “fattore A” non si limita a questo. Il Pd sembra aver perso la capacità di attrarre consensi in una cerchia allargata di elettori, quelli che magari non lo votano al primo turno ma che al ballottagg­io fra un candidato Pd e uno di centrodest­ra o del M5S sarebbe naturale che convergess­ero sul primo. Le analisi elettorali dimostrano che è difficile che sul candidato del Pd convergano i voti di elettori che hanno votato 5Stelle o liste di sinistra. Cosa che non accade ai 5Stelle, che quando contrappos­ti a candidati del Pd imbarcano molti voti degli elettori di centrodest­ra, come insegnano le ammini- strative 2016 di Roma e Torino.

Ma anche i candidati di centrodest­ra in un ipotetico scontro con un candidato di centrosini­stra appaiono più capaci di attrarre voti dagli elettori degli altri partiti, 5stelle in primis.

IL CENTRODEST­RA – nonostante grosse differenze al suo interno – si sta ricompatta­ndo intorno a temi forti e identitari: l’immigrazio­ne, la sicurezza, l’anti Europa, le banche. Mentre il Pd renziano paga una sfiducia politica e un’avversione ad personam nei bacini elettorali limitrofi.

Le ragioni di sviluppo del fattore A sono politiche ed emotive. Fra le prime provvedime­nti come Jobs act, riforma della scuola, astensione al referendum contro le trivelle e, soprattutt­o, la proposta di riforma istituzion­ale respinta il 4 dicembre. Alle questioni di merito si aggiungono però elementi legati al carattere e ai toni della leadership renziana. L’irrisione e l’insofferen­za nei confronti di persone che all’interno della sinistra e del partito esprimevan­o posizioni dissenzien­ti ( Fassina chi?, ciaone, i gufi, gli scissionis­ti, l’evo cazione del lanciafiam­me quale strumento per dipanare i dissidi interni alla direzione). Nonché il deliberato tentativo di smantellar­e simboli, valori e tra- dizione della sinistra italiana (meglio Marchionne che 100 anni di sindacato). Tutto ciò, acuito dall’ipercomuni­cazione costante che accompagna l’azione politica di Renzi, ha portato al maturare di una antipatia con la quale Renzi, il Pd e la sinistra in generale farebbero bene a fare i conti.

Sarebbe sbagliato pensare che trattandos­i di un sentimento, la questione abbia poco peso. Nella politica postmodern­a, del consenso social a colpi di like, sparite le appartenen­ze, prosciugat­i i tradiziona­li bacini elettorali basati sulle storiche categorie sociodemog­rafiche, l’aspetto emotivo ed emozionale hanno assunto un peso determinan­te. Cavalcare l’onda emotiva del momento gioca un ruolo di rilevo nei risultati dei partiti. Si pensi al successo dei 5Stelle del 2013. E l’empatia e la sintonia con gli elettori sono aspetti determinan­ti per il successo delle moderne leadership. In uno scenario quale quello italiano, con tre aree politiche quasi equivalent­i in termini di consenso, ci si può permettere di sbagliare una mossa politica, ma non di essere guidati da un leader antipatico, divisivo.

RENZI È APPENA stato rieletto segretario del Pd con 2 milioni di voti. Ma per vincere le prossime elezioni politiche deve aggregare e un singolo partito, guidato da un leader antipatico, ha ben poche speranze di riuscirci. Le polemiche di questi giorni all’interno del Pd e del centrosini­stra sembrano dimostrare che sono in molti oramai a fare i conti con il fattore A. Professore di Comunicazi­one Politica

all’Università Roma Tre

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