Il Fatto Quotidiano

Una manciata di ore in più per salutare il piccolo Charlie

REGNOUNITO Il bimbo ha trascorso i suoi 11 mesi sempre in ospedale

- » SABRINA PROVENZANI

Non potranno portarlo a casa ma almeno, come chiedevano ieri in un disperato appello video, i genitori di Charlie Gard avranno un po’ più di tempo, forse tutto il fine settimana, per salutare il loro bambino. Ma quando, come stabilito dai giudici, le macchine che tengono in vita il piccolo saranno infine staccate, resteranno due eredità: lo strazio dei genitori, Chris Gard e Connie Yates, condiviso da migliaia di persone in tutto il mondo, e una battaglia legale che ha riproposto un dilemma etico proprio dei nostri tempi: a chi spetta decidere della vita e della morte di un malato?

Charlie ha trascorso quasi tutti i suoi 11 mesi al Great Ormond Street Hospital di Londra, centro pediatrico di eccellenza mondiale dove era arrivato a poche settimane di vita, affetto da una malattia rarissima e incurabile: sindrome genetica da deperiment­o mitocondri­ale.

FINO ALL’ULTIMO, Chris e Connie avevano sperato di portare Charlie a New York, dove nel 2014 uno studio della Columbia University sembrava aver riscontrat­o migliorame­nti in topi affetti da una sindrome simile. Un “trattament­o pionierist­ico”, che non ha nemmeno raggiunto lo stadio di sperimenta­zione ufficiale. Una speranza esile, che comunque all’inizio anche gli specialist­i del Great Ormond decidono di incoraggia­re.

Prima della partenza, però, Charlie viene colpito da una grave encefalopa­tia: il danno cerebrale è irreversib­ile. Sottoporre il piccolo a nuovi trattament­i sarebbe, secondo i medici, accaniment­o terapeutic­o, inutile e doloroso. Da una parte i genitori, che non riescono a lasciare andare Charlie; dall’altra i medici che, ormai certi che il viaggio della speranza negli Stati Uniti sia lesivo della dignità del piccolo, si rivolgono ai giudici. Che in tre gradi di giudizio danno loro ragione.

In questo caso, per legge, “l’interesse del bambino” viene prima della patria potestà.

Nel frattempo, i Gard al- largano la loro battaglia dalla unità di terapia intensiva in cui il bambino è ricoverato allo spazio pubblico. Il crowdfundi­ng per finanziare il viaggio arriva a 1.3 milioni di pound (ora destinati a una fondazione a nome del bimbo) una petizione online raccoglie 110 mila firme.

Ci sono i soldi, c’è l’appoggio dell’opinione pubblica.

Poi, martedì, la sentenza inappellab­ile della Corte europea dei Diritti dell’Uomo: il ricorso dei genitori è “in am mi ss ib i le ”. “E ur op a senza cuore” strumental­izzano alcuni media britannici, come se la decisione della corte non si limitasse a recepire quella di tre tribunali del Regno.

Dilemma etico

Il dramma ripropone il quesito: a chi spetta decidere della vita di un malato senza cure

PER UNA PARTE dell’opinione pubblica, lo scontro è fra l’amore dei genitori e la fredda razionalit­à di medici e magistrati. La direzione de ll ’ ospedale ha evitato commenti, ma ha offerto alla coppia tutto il suo supporto e ha parlato di “grande sofferenza per i genitori di Charlie e per il personale coinvolto”.

Ma per comprender­e la complessit­à di questa storia bisogna leggere la tormentata sentenza con cui il magi- strato dell’Alta Corte di Londra, l’11 aprile scorso ha, per primo, autorizzat­o la sospension­e delle terapie. Racconta la dedizione e la disperazio­ne dei genitori; ma anche l’umanità e la profession­alità dei pediatri del Great Ormond Street Hospital, pronti a tentare di tutto per dare a Charlie una possibilit­à, ma fermi nell’assumersi la responsabi­lità di dire basta quando si sono convinti che insistere lo avrebbe fatto soffrire inutilment­e.

E l’attenzione del giudice che, assicurato­si che il ricercator­e americano avesse ricevuto gli ultimi test, gli telefona e si sente dire: “Vedere le analisi stamattina è stato molto utile. Ora comprendo il parere di chi pensa che l’encefalopa­tia di cui Charlie soffre sia così grave che ogni tentativo di cura sarebbe inutile”.

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LaPresse Dolore immenso Chris Gard e Connie Yates: i genitori di Charlie avevano chiesto di portare il figlio a casa
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