In Italia 27 mila finte sagre: fatturano 558 milioni
Con la stagione estiva già iniziata, la Federazione degli esercenti lancia l’allarme sul fenomemo dell’abusivismo commerciale: nessun controllo sugli alimenti, sull’igiene e sulla sicurezza del lavoro
La sagra del pesce nella spiaggiatissima località di Castagneti a Issogne, Comune della Valle d’Aosta che dista 215 km dal mare, ma anche la festa del maialetto a Senago, che si svolge dal 26 maggio all’ 11 giugno nella rinomata provincia sardo-lombarda di Milano, dove si sono anche potuti degustare un piatto di localissime linguine con vongole e bottarga e le seadas, il caratteristico dolce isolano. Poi c’è la festa della porchetta, che sabato scorso ha fatto il suo debutto nella freschissima piazza di Rometta, in provincia di Messina. Peccato che questo alimento poco abbia a che fare con il Sud Italia e tanto meno con temperature così alte. Ed ancora. C’è la regina di una particolare sagra che, nella metà di agosto, intrattiene migliaia di persone a Berra, nella Bassa ferrarese. Chi è la star? La zanzara. Nel disperato tentativo di venire a patti con l’indesiderato ospite, gli abitanti da decenni ne hanno fatto una risorsa. “L’intento – spiega il sindaco Eric Zaghini – è di valorizzare un prodotto di cui siamo ricchi”. E così dal 16 agosto 2002, si celebra la festa mondiale della zanzara, con tanto di processione per le vie del paese e la statua di San Rocco in spalla. Per non parlare della festa della birra che viene celebrata in quasi tutti gli 8 mila Comuni italiani, manco fossero gemellati con l’O ktoberfest di Monaco di Baviera.
INSOMMA, anche se non ci sono legami con il patrono della città, la storicità, la tradizione, la promozione dei valori culturali, la collaborazione con i soggetti del territorio – vale a dire tutte le caratteristiche che dovrebbe avere una sagra per essere considerata tale – e non vengano affatto promossi i prodotti tipici (possibilmente acquistati a km 0), anno dopo anno si moltiplica il numero di queste feste, soprattutto in tempo d’estate. Un fenomeno che non conosce crisi nonostante tutto molto di ciò che ruota intorno a queste false sagre ricada nelle sacche dell’evasione e dell’a b u si v i sm o commerciale. Così come emerge dalla fotografia scattata dalla Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe). Ogni anno, si legge infatti nel rapporto, su oltre 42 mila sagre che vengono organizzate lungo tutto lo stivale, ben 27.300 si rivelano fasulle per un fatturato complessivo di 558.909.000 euro.
Rilevanti i dati: ogni amministrazione comunale in media ospita 3,4 sagre che non hanno legami con le tipicità del territorio, ma durano 7,3 giorni per un totale di 198.900 giornate complessive che consentono di fatturare al giorno 2.810 euro che corrispondono a 20.473 euro in totale per ogni sagra tarocca. Ma il quadro della realtà, sottolinea la Fipe, è che in questi eventi di fatto vengono esercitate attività di ristorazione a tutti gli effetti senza sottostare ai dovuti vincoli di legge, rendendo il quadro molto più complesso tra falsi agriturismi, circoli culturali e sportivo-ricreativi, che secondo le più recenti stime generano un fatturato complessivo di 5.206.568.000 miliardi di euro, una cifra che incide peròper 1,8 miliardi di euro sul Pil.
“IL PROLIFERARE incontrollato di queste finte sagre – spiega il direttore del centro studi Fipe Luciano Sbraga - è un grave danno per l’erario e per tutti quei bar e ristoranti che operano nel pieno rispetto della legalità”. Ma che, soprattutto, corrisponde a una perdita di imposte dirette e contributi pari a 710 milioni di euro tra contributi previdenziali e tasse. Il motivo? Non esiste una regolamentazione nazionale che uniformi le sagre e che raccolga specifici requisiti che si dovrebbero possedere per partecipare ai bandi comunali e regionali che ogni anno stanziano miliardi di euro in eventi culturali, enogastronomici, feste popolari o attività di promozione sociale, solo per citarne alcuni.
TECNICAMENTE l’unico vincolo da rispettare, come emerge scartabellando le attuali 22 normative regionali, è che la domanda venga presentata da una Proloco, associazione locale nata con scopi di promozione e sviluppo del territorio, che proprio per queste peculiarità usufruisce di agevolazioni fiscali. In particolare, sottolinea Sbraga, si tratta della “possibilità di non certificare i corrispettivi, mentre le imposte vengono versate in modo forfettario”. In soldoni, le Proloco pagano solo il 3% sul totale degli incassi. Guadagni che, tuttavia, nessuno conosce con precisione, visto che le associazioni non sono obbligate a rilasciare scontrini o ricevute.
In alcune località, poi, le sagre smettono di essere eventi eccezionali e diventano fissi, con strutture che non vengono rimosse per settimane o mesi. “Per non parlare dei casi in cui – sottolinea Sbraga – nei piatti finiscono prodotti di dubbia origine, con scarsi o nulli controlli sanitari, oppure del tutto slegati dalle eccellenze del territorio”. Con un doppio danno se si pensa alle specialità regionali Dop e Igp che andrebbero in teoria promosse.
“Queste troppe feste in piazza rappresentano un imbroglio per i consumatori”, ci va giù duro Alberto Lupini, direttore di Italia a Tavola, una delle testate più rilevanti nel comparto enogastronomico. Che aggiunge: “I prodotti proposti non sono controllati, ma soprattutto la maggior parte delle sagre non è in regola con i controlli in materia di salute e sicurezza del lavoro”. La realizzazione di questi eventi comporta, infatti, il coinvolgimento diretto di un grande numero di persone – in numero maggiore volontari – “che porta a pensare quanti siano i rischi lavorativi che corrono”. Persone che si occupano di moltissimi compiti: ad esempio il trasporto, montaggio e smontaggio delle strutture necessarie per gli eventi, ma anche la preparazione e somministrazione di cibi e bevande o la gestione del traffico veicolare nelle manifestazioni sportive.
IRREGOLARITÀ ED EVASIONE
Il giro d’affari di tutte le fiere supera i 5 miliardi di euro l’anno, cifra che incide sul Pil per 1,8 miliardi di euro
“CERTO, non tutte le sagre sono così”, commenta il direttore del centro studi Fipe. “Noi – aggiunge – non siamo contrari a queste manifestazioni a patto che le istituzioni diano priorità a quegli eventi autentici con una riconosciuta valenza di tradizione coinvolgendo anzitutto gli operatori del territorio, ad esempio con la possibilità di creare partnership con i ristoranti della zona per proporre menù tipici ad hoc”. Unico esempio virtuoso in questa direzione sembrerebbe quello rappresentato dalla Regione Lombardia che nell’aprile 2016 ha promosso una legge dedicata al commercio su aree pubbliche e sagre, che prevede l’invio ai Comuni di linee guida per riconoscere le sagre “autentiche”, dando priorità a quelle che “hanno una valenza riconosciuta di tradizione con gli operatori già presenti sul territorio” e che introduce un calendario annuale delle manifestazioni con multe per chi opera senza esservi stato inserito.
TROPPO FACILE E SENZA CONTROLLI Tecnicamente l’unico vincolo da rispettare in ogni Regione, è che la domanda venga presentata da una Proloco