Senza gli aiutini politici si sgonfia la bolla Eataly
La società fondata da Farinetti perde 11 milioni, spiega che è finito il bengodi di Expo, con gli appalti senza gara dati da Sala
Nel suo libro Matteo Renzi cita l’a mi co Oscar Farinetti solo una volta, per una telefonata dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre. “Tu hai questa capacità di stare antipatico a tutti quando vinci. Ma quando perdi sei il numero uno, come dopo le primarie di Bersani. È meraviglioso perdere, no?”, dice Farinetti. Renzi non gradisce, ma ora potrebbe ricambiare, chiamare l’amico imprenditore e chiedergli se sono meravigliose anche le perdite 2016 di Eataly Distribuzione: ben 11 milioni di euro.
CERTO, FARINETTI non è più coinvolto formalmente in quello che doveva essere un impero alimentare: le quote sono andate ai figli, alla presidenza c’è un supermanager come Andrea Guerra, già consulente di Renzi ed ex ad di Luxottica (con buonuscita da 40 milioni e passa). Ma Farinetti resta il volto e parte del brand di Eataly. Era lui che nel 2013 prometteva la quotazione quando il fatturato avesse raggiunto i 700 milioni. Lo scorso anno è stato di 178,8 milioni, in netto calo rispetto ai 211,7 del 2015. Il modello di business del supermercato del cibo di lusso è in crisi? Assolutamente no rispondono gli amministratori nella relazione sulla gestione, “tale andamento è determinato in prima istanza dalla riduzione del fatturato conseguente all’evento di Expo realizzato nel corso del 2015”.
Che è come dire che il bilancio 2015 è stato così positivo soltanto grazie al fatto che Giuseppe Sala, quando guidava Expo prima di diventare sindaco di Milano, nel 2013 ha concesso a Eataly senza gara il servizio di ristorazione in due edifici dell’evento. Sala è stato indagato e archiviato perché non è stato riscontrato il“dolo intenzionale” di favorire Far inetti. Ma anche il giudice che ha disposto l’archiviazione ha riconosciuto che Eataly ha beneficiato di “condizioni economiche particolarmente vantaggiose” e “di maggior favore” rispetto a quelle applicate negli altri otto edifici con ristorazione. Gli altri dovevano pagare a Expo “il 12% di royalty sul volume d’affari”, mentre Eataly solo “il 5%” (il 6% se i ricavi andavano oltre 40 milioni).
Ma non c’è sempre un partner così accomodante che - in nome dell’unicità di Eataly - permette di macinare milioni di fatturato.
E così nel 2016 Eataly, nonostante l’arrivo di Andrea Guerra, rallenta. Parecchio, perché 11 milioni di perdita sono tanti per una azienda che a inizio 2016 aveva un patrimonio netto di soli 16,2 milioni. Quando le perdite abbattono il patrimonio netto di oltre un terzo, gli amministratori devono convocare una assemblea dei soci subito per trovare una soluzione, perché il patrimonio netto è la misura della solidità dell’azienda. Per fortuna di Fari- netti e Guerra c’erano pronti 10,8 milioni di utili portati a nuovo che arrivavano dal 2014 e che sono stati bruciati per compensare le perdite 2016. Un tesoretto che si può usare una volta sola. Che succede se il 2017 sarà un altro anno senza eventi straordinari come Expo e con lo stesso livello di ricavi?
Tutto l’assetto finanziario di Eataly indica un approccio gestionale orientato come minimo alla prudenza. Anche per effetto del calo di fatturato, le disponibilità liquide crollano da 17,3 milioni di euro a 4,7. Il genere di cose che di solito preoccupano le banche, timorose di vedere i propri finanziamenti usati per evitare il blocco dell’attività invece che per investimenti. Ma Eataly non ha di questi problemi perché mantiene i rapporti con gli istituti di credito al minimo: soltanto 9,9 milioni di euro ( 8,4 da rimborsare nel 2017).
EATALY HA TROVATO una fonte di finanziamento più economica e meno problematica: rinviare i pagamenti ai fornitori. A fronte di 9,9 milioni da dare alle banche, il gruppo fondato da Farinetti deve ben 40,6 milioni di euro ai propri fornitori ( l’an no prima erano ancora di più, 43,6). Tutti soldi da pagare entro l’anno, certo, ma il de- bito intanto evita di contrarne altri più onerosi e fastidiosi con gli istituti di credito. Ci sono anche quasi sei milioni di debiti verso il fisco e l’Inps.
Queste difficoltà non frenano però le ambizioni del gruppo guidato da Andrea Guerra. Eataly continua a espandersi negli Emirati Arabi, in Canada, in Giappone ma anche qui in Italia. Se tutto questo basterà a invertire la tendenza - e gli amministratori assicurano di sì, nella relazione che accompagna il bilancio - lo capiremo soltanto tra un anno quando saranno divulgati i conti del 2017.
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